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“Il guaio è che gli uomini studiano come allungare la vita, quando invece bisognerebbe allargarla.” Penso a questa frase di Luciano De Crescenzo quando inizio a leggere le esperienze di Guendalina Stabile.

Dopo essersi laureata all’Università Luiss di Roma, con un percorso che ha combinato studi in Impresa e Management e una specializzazione in Marketing, ha scelto di seguire la propria passione per i viaggi e la comunicazione digitale.
Nel 2018, con grande determinazione, ha creato un progetto che unisce queste due dimensioni, trasformando il suo interesse in una carriera freelance. Oggi è una professionista del Content Creation e della Comunicazione Digitale, lavorando su blog e canali social che raccontano storie di viaggio, e supportando brand e individui attraverso consulenze mirate a migliorare le loro strategie online e offline. Ha saputo creare una community appassionata e un lavoro che riflette a pieno la sua identità e i suoi valori.

Si definisce una “Libera Viaggiatrice” che ha come centro del suo modo di agire l’ottimismo, nella passione e nella libertà. Inizio a porle alcune domande proprio con la sensazione che mi condurrà alla scoperta del suo mondo interiore, così come, seguendola sui social network conduce nei vari angoli del mondo.

Il tuo progetto di Content Creation e Comunicazione Digitale è iniziato nel 2018. Cosa ti ha spinto a lasciare il percorso tradizionale post-laurea e creare qualcosa di tuo, coniugando passione e lavoro?

Nel 2017 ho concluso il mio percorso di laurea magistrale in economia e marketing ed ho subito cominciato a lavorare in una grande azienda nel settore del marketing. Il blog e la relativa pagina Instagram sono nati proprio nel 2018 come hobby mentre svolgevo il mio lavoro principale. Ho sempre avuto un grande amore per i viaggi sin da bambina, trasmesso in primis dalla mia famiglia che mi ha sempre portato in viaggio con sé intorno al mondo. Mi ha inoltre sempre entusiasmato scattare foto e scrivere dei miei viaggi e quindi un progetto online che coniugasse i social e la mia formazione di marketing, le foto e la scrittura di viaggio è entrato in modo del tutto naturale nella mia vita.

Il progetto “eleutha” è cominciato quindi come attività parallela al mio lavoro e piano piano ha preso sempre più spazio fin quando è diventato nel 2022 il mio lavoro principale. E’ stato un lungo percorso sicuramente mosso dalla volontà di trasformare la mia passione nel mio lavoro. Purtroppo non mi rispecchiavo nella vita d’ufficio che stavo conducendo e questo ha sicuramente alimentato il mio desiderio di cercare una vita che mi desse più libertà e che mi soddisfacesse appieno. Oggi sono davvero felice della mia scelta.

Viaggiare è una parte centrale del tuo progetto. Come sono cambiate le tue esperienze di viaggio da quando hai iniziato a crearne contenuti per il tuo blog e i canali social? Hai notato un impatto sul modo in cui ti relazioni con i luoghi e le persone che incontri?

Il mio progetto online ha sicuramente inciso sul modo che ho di rapportarmi ad un viaggio perché ad oggi non è più solo vacanza ma a tutti gli effetti anche lavoro. Anche quando non sono in viaggio appositamente per creare contenuti per un brand o una struttura ricettiva ma solo per il mio piacere personale, ho comunque il pensiero di creare contenuti autentici ed interessanti per la mia community. Quando la passione diventa lavoro si finisce per lavorare sempre e non lavorare mai allo stesso tempo. Ad esempio uno dei miei ultimi viaggi che non aveva nulla a che fare con collaborazioni di lavoro è stato l’on the road nell’ovest degli Stati Uniti che la mia migliore amica ed io ci siamo regalate per i nostri 30 anni. Non avevo nessun obbligo di creare contenuti ma quei paesaggi mozzafiato e le atmosfere da film mi hanno ispirato tanti contenuti foto – video che hanno raccontato la nostra avventura e che sono stati apprezzatissimi dalla mia community di viaggiatori. Quando invece sono in viaggio appositamente per creare contenuti è a tutti gli effetti lavoro con impegni, scadenze, un programma da seguire ed obiettivi da raggiungere in cui però cerco sempre di vivere appieno momenti e destinazioni. La linea che separa lavoro e vita personale è molto difficile da mantenere ma faccio sempre tutto con grande entusiasmo e gratitudine per riuscire a lavorare facendo quello che amo. 

Oltre a creare contenuti di viaggio, offri consulenze di marketing. Come riesci a bilanciare il lato creativo con quello strategico e consulenziale? E come questi due aspetti si influenzano a vicenda?

Il marketing mi ha sempre appassionato ed ha sempre fatto parte della mia vita a partire dagli anni dell’università. In fondo con il tempo due strade che sembravano così distanti come quella del creator online e del professionista nel campo del marketing si sono rivelate più vicine del previsto. L’online marketing, l’influencer marketing e la creator economy sono tutte facce dello stesso dado. Un momento in cui me ne sono davvero resa conto è stato in Thailandia. Partecipavo ad un viaggio stampa con l’ente del turismo ed un pomeriggio è stata organizzata una riunione tra giornalisti, creator, imprenditori di attività locali ed i rappresentanti dell’ente Thailandese. Abbiamo discusso di destination marketing quindi di targeting e segmentazione del mercato, di strategie di comunicazione, punti di differenziazione e di online marketing. Quel pomeriggio ho potuto dare il mio contributo sia come creator che come professionista di marketing e ricordo di aver pensato che si fosse davvero chiuso un cerchio e che tutto il mio percorso, per quanto insolito, avesse avuto un senso.

Lavorare come freelance in ambito digitale richiede una continua innovazione. Come ti mantieni aggiornata sulle nuove tendenze nel mondo della comunicazione digitale e quali strumenti trovi più utili per migliorare la tua strategia?

La mia e quella dei miei colleghi è una professione in continuo cambiamento e che sono consapevole continuerà a cambiare nel corso degli anni. Dovremo essere bravi a cambiare col mercato. Personalmente cerco di rimanere sempre aggiornata attraverso podcast o conferenze ma soprattutto essendo sempre presente sulle piattaforme e confrontandomi con colleghi italiani ed internazionali. Essere presente ogni giorno è l’unico modo per rimanere aggiornati in un mondo in divenire.

I social media sono una grande parte del tuo lavoro. Qual è la tua filosofia personale quando si tratta di creare contenuti per la tua community? C’è un messaggio o un valore che cerchi sempre di trasmettere?

Cerco sempre di conoscere e condividere i luoghi del mondo in modo rispettoso e consapevole e di ispirare chi è seduto dall’altra parte dello schermo a fare altrettanto. Amo condividere luoghi ed esperienze autentiche e particolari, senza dimenticare di lasciare ai viaggiatori informazioni utili per poter replicare tali esperienze. Credo nell’ottimismo e nella positività che cerco sempre di trasmettere nelle mie interazioni online ed offline. Credo nel presentare i posti del mondo attraverso le loro bellezze naturali, la loro cultura, storia ed arte senza per forza cercare sensazionalismi come spesso si vede, ma piuttosto lasciando a volte spazio alla riflessione personale ed pensiero critico. Quando ho raccontato delle terribili condizioni di lavoro della grande miniera d’argento di Potosì in Bolivia, della storia di rinascita delle favelas Colombiane o fatto riflessioni sulle  attuali condizioni di vita dei nativi americani nelle riserve, sulla povertà di Cuba o sulla bomba atomica di Hiroshima senza dubbio non ho ottenuto grandi numeri in termini di views ed interazioni, come avrebbero attirato contenuti più leggeri, ma mi è sembrato doveroso condividere per onestà intellettuale e per cercare di raccontare davvero, con pensiero critico, un viaggio ed una destinazione.

Quanto credi che le esperienze di viaggio abbiano contribuito a modellare la tua identità? In che modo i luoghi che visiti e le persone che incontri influenzano il modo in cui vedi te stessa e il mondo?

Moltissimo. Sicuramente senza le mie esperienze di viaggio sarei una persona differente. Da ogni viaggio si torna cambiati ed arricchiti. Non solo si portano a casa le meraviglie viste ma anche le riflessioni fatte, le storie delle persone incontrate e tutto ciò che si è imparato di nuovo, da una nuova lingua ad una nuova ricetta, da una nuova tradizione  a nuove possibilità di vita. Viaggiare mi ha fatto capire più di ogni altra cosa quanto il nostro sia solo un modo di vivere di tanti e che più si allarga il proprio orizzonte più si comprenda come le possibilità siano infinite. Ho dormito a casa di una famiglia che vive su una delle isole galleggianti del Lago Titicaca in Perù,  ho conosciuto un pescatore nato, cresciuto e vissuto sempre sullo stesso piccolo atollo indonesiano, ho immaginato come potrebbe essere la mia vita se decidessi di trasferirmi a Rio de Janeiro o nel nord della Norvegia. Miliardi di possibilità, luoghi e stili di vita differenti che anche se non scegli osservi ed interiorizzi e contribuiscono come tanti mattoncini a formare la persona che sei ed a forgiare ciò in cui credi.

IN USCITA IL 7 NOVEMBRE IL FILM “IL RAGAZZO DAI PANTALONI ROSA” tratto dal libro di Teresa Manes. La vera storia di Andrea Spezzacatena “ucciso dal silenzio” il 20 novembre 2012.

Fu il primo caso in Italia di cyberbullismo che portò al suicidio un ragazzo minorenne.
Andrea Spezzacatena aveva appena 15 anni. “La verità resta che il suicidio di un adolescente sottolinea il fallimento dii una società”. Sono queste le parole di una madre Teresa Manes, che ha perso suo figlio. Andrea si è impiccato il 20 novembre del 2012 nella sua casa di Roma. Andrea oltre il pantalone rosa è il libro pubblicato dalla madre, il racconto doloroso, straziante, la ricostruzione di quegli attimi, la difesa di chi non poteva difendersi, il tentativo di comprendere e di aiutarsi, la speranza che questo possa non accadere mai più.
Da quel momento Teresa promuove dinamicamente, anche attraverso canali mediatici nazionali, campagne di prevenzione e contrasto del fenomeno del bullismo e del disagio giovanile. Il 27 dicembre 2021 per questo suo impegno profuso a favore dei giovani, è stata insignita dell’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana.

Aveva 15 anni e 6 giorni quando si è impiccato – scrive Teresa Manes “Quando un figlio si suicida vieni ingoiato da una valanga di sensi di colpa. Sono andata da una psicologa per circa un anno, con tre sedute di 150 minuti cadauna a settimana. Ho fatto un lavoro di introspezione cosi profondo da levarmi l’anima per vedere di cosa era fatta. Non avevo ascoltato la sua sofferenza. Non avevo visto la sua solitudine.“….imperfetta, indubbia come donna mi piacevo come mamma…
Poi scoprii l’esistenza di una pagina facebook dove veniva etichettato come “il ragazzo dai pantaloni rosa” che aprì lo scenario del bullismo. Anzi de cyberbullismo.
Solo che i like su quella pagina erano solo 27, troppo pochi per essere considerati come influenti e determinanti per una scelta tanto estrema.
Non si è tenuto conto però che quel numero poteva essere rappresentativo di un gruppo classe, ad esempio. “Se ti metti lo smalto non puoi non aspettarti la presa in giro” disse davanti al giudice del tribunale ordinario, un avvocato difensore di uno degli insegnanti indagati (mio figlio si laccava le unghie nell’ultimo mese di vita). Mi venne in mente il caso della donna a cui venne negato di essere riconosciuta vittima di stupro perché indossava un jeans attillato quando fu aggredita”.

Al liceo Cavour di Roma lo chiamavano “il ragazzo dai pantaloni rosa” perché Teresa, la mamma, aveva erroneamente scolorito con la candeggina un paio di pantaloni rossi, che Andrea aveva comunque scelto di continuare a mettere nonostante fossero diventati rosa. I suoi compagni di scuola lo chiamavano anche in tanti altri modi, con crudeltà e ferocia, non credo affatto inconsapevoli di tutto ciò che stavano causando. Umiliato in rete costantemente fino al giorno del tragico evento.
Dopo il suicidio la magistratura, a seguito di due anni di ricerche, indagini ed interrogatori, negò si trattasse di un caso di bullismo e omofobia. Indirizzarono la loro attenzione sulla separazione dei genitori o un amore non corrisposto o su altro.

Dal libro di Teresa Manes è nato il film “Il ragazzo dai pantaloni rosa” (Eagle pictures e Weekend films, regia di Margherita Ferri, soggetto e sceneggiatura di Roberto Proia) che sarà nelle sale dal 7 novembre, il trailer del film a luglio ha avuto in 5 minuti oltre un milione di visualizzazioni, “segno evidente che di un film così se ne sentiva il bisogno. Servirà a far aprire gli occhi, spero anche i cuori”, scrive Teresa sulla sua pagina Facebook. Nel cast Claudia Pandolfi, Samuele Carrino, Andrea Arru, Sara Ciocca, Corrado Fortuna. Presentato al Giffoni Film Festival 2024 il film ha suscitato fortissime emozioni già dalle prime immagini accompagnate dalla canzone “Canta ancora” di Arisa. “E’ stato complesso trasformare questa storia in un film” racconta Roberto Proia “ho sentito forte la responsabilità che tutto questo comportava. Volevamo essere fedeli alla storia e non giudicanti, non raccontare i buoni ed i cattivi. Volevamo riuscire a comunicare con tutti, non solo ai bulli. Far capire che le parole possono suscitare reazioni diverse a seconda di chi le accoglie.
Per entrare nel mondo di Andrea era necessario che Teresa ci aprisse il suo cuore. E’ stato un viaggio complesso, a tappe, abbiamo riso e pianto, e siamo entrati nella mente di Andrea”. “Non esiste solo il bullo manifesto che attacca in modo esplicito e visibile” spiega l’attrice Claudia Pandolfi che nel film interpreta la madre di Andrea “quanti di noi sarebbero in grado di difendere chi viene attaccato? Quando si crea il clima cameratesco nel male è distruttivo, immagino che Andrea si sia sentito solo al mondo per questo, tanti aderivano a questa violenza senza attaccarlo direttamente”.
Il ragazzo dai pantaloni rosa è un film che racconta una storia che ha il diritto di non essere dimenticata.
“Neanche una settimana dopo i funerali di Andrea mi fu recapitata a casa una lettera di una professoressa con cui in buona sostanza ci manifestò cordoglio e vicinanza per la tragedia che ci aveva colpito duramente”, racconta Teresa Manes. “In quella lettera ricordava il sorriso di mio figlio dietro cui era stato bravo a mascherare un male di vivere giovanile, che si annida nelle ragioni più disparate e che nessuno, men che meno io, aveva saputo cogliere. Nella sua chiosa, quella professoressa, mi esortava a confinare la nostra triste storia nel silenzio, in segno di rispetto verso quel dolore che aveva spinto ad una scelta. Incredula davanti a quell’invito, ripiegai il foglio e preparai una valigia. Fu così che iniziò il mio viaggio verso le
scuole….consapevole del fatto che, se avessi chiuso la mia bocca, mio figlio sarebbe morto due volte”.

Andrea Spezzacatena è stato ucciso dal silenzio di persone che avrebbero dovuto comprenderlo, sostenerlo, aiutarlo e “riconoscerlo”, perché l’altra causa della morte di Andrea è stata la determinazione, la forza, il coraggio di non voler essere come i suoi aguzzini, come i suoi assassini, come i suoi coetanei. Voler affermare, a costo della vita, la sua identità, di ragazzo sensibile, profondo, dolce, buono e generoso, sì, è vero Andrea era “diverso” ma non nel senso in cui veniva raffigurato nelle chat, nelle discussioni, negli insulti, nelle umiliazioni e delle aggressioni, Andrea era “diverso” nel senso di “migliore” ed è stata propria questa sua impressionante forza ed affermazione a portarlo al suicidio. Non lo accetti un universo così sfatto, non ne vuoi far parte, non ti vuoi rendere complice di azioni e comportamenti che se oggi riguardano te domani riguarderanno qualcun altro, non cedi a compromessi, non ci credi più e non ti fidi più e soprattutto non ne puoi più di vivere e rivivere ogni giorno la stessa dinamica crudele, malvagia, persecutoria, ossessiva. Andrea ha smosso tante coscienze, Andrea continuerà a lottare, perché morire non sempre significa smettere di vivere ed Andrea è testimone di questo immenso e straordinario stato d’animo.

Leggete il libro e guardate il film. Comprenderete che la portata di un dolore e la quantità di lacrime che ti portano quasi a perdere un occhio per una infezione, possono suscitare sentimenti di comprensione e di aiuto verso il prossimo, e che ci può essere un altro tipo di risposta al male ricevuto ed è IL BENE. Teresa Manes è una madre che sta lavorando da dodici anni affinchè questo fenomeno disumano e purtroppo sempre più vasto, il bullismo ed il cyberbullismo, venga alla luce nella sua reale portata e porti consapevolezza in ognuno di noi, affinchè nessuno possa mai più tacere o sminuire o tentare di alleggerire un dramma che ha strappato via a tante famiglie il bene più prezioso: un figlio.

Il web scraping è la fonte di informazioni delle principali applicazioni di IA. Queste tecnologie, sebbene offrano vantaggi significativi, sollevano anche importanti questioni riguardanti la privacy.

Cos’è il Webscraping?

Il web scraping è in estrema sintesi una tecnica utilizzata per estrarre grandi quantità di dati dal web.

Questo processo automatizzato è ampiamente impiegato per vari scopi, come l’analisi del mercato, la ricerca accademica, il monitoraggio dei prezzi e molto altro.

In un mondo sempre più guidato dai dati, la loro raccolta massiva è diventata uno strumento essenziale per molte aziende.

Non sono solo le Big Tech ad utilizzare questa tecnica per ottenere vantaggi competitivi, come la raccolta di informazioni sui prodotti dei concorrenti o l’analisi dei trend di mercato desunte dai miliardi di utenti dei diversi social media più o meno segmentati.

Con l’espansione del commercio elettronico e l’aumento della disponibilità di dati online, le attività di web scraping sono aumentate. 

Diverse analisi di settore indicano che una percentuale considerevole di traffico web, in alcuni casi fino al 25-40%, può essere attribuita a bot di scraping. 

Nell’e-commerce o nella vendita al dettaglio questi tools consentono di recuperare informazioni sui prezzi dai siti web dei concorrenti e ritagliare offerte mirate su determinati target di clientela.

La pesca indiscriminata dei dati è ampiamente diffusa anche nel settore finanziario e degli investimenti raccogliendo nel web rendiconti finanziari, prezzi delle azioni e i più svariati indicatori economici che permettono di elaborare strategie di investimento mirate.
Utilizzo analogo nel settore immobiliare per individuare tendenze di mercato e dati sui prezzi, mentre nel mercato dei viaggi e turismo il web scraping consente di monitorare le disponibilità e i prezzi analizzando i feedback dei clienti.
Con l’espansione del commercio elettronico e l’aumento della disponibilità di dati online, le attività di strascico dati nel web sono aumentate. 
Diverse analisi di settore indicano che una percentuale considerevole di traffico web, in alcuni casi fino al 25-40%, può essere attribuita a bot di scraping. 

L’educazione della IA e la Privacy

Le principali applicazioni IA soprattutto quelle basate sul deep learning come chatbot e assistenti virtuali, ma anche in campi delicati come quello medico per la diagnosi precoce, apprendono ed evolvono tramite algoritmi che elaborano vasti set di dati.
Alcuni esempi:

Dati Comportamentali: Informazioni su come gli individui interagiscono con siti web, app, e dispositivi. Questo può includere dati di navigazione, preferenze di acquisto, e modelli di utilizzo. 

Dati Demografici: Età, genere, nazionalità, e altre informazioni demografiche possono essere usate per personalizzare e migliorare i servizi. 

Dati di Localizzazione: Posizione GPS, indirizzi IP, e altri dati di localizzazione che aiutano a comprendere le abitudini di mobilità e geografiche degli utenti. 

Dati di Interazione Sociale: Post sui social media, like, commenti, e altre forme di interazione sociale. 

Dati Biometrici: Impronte digitali, riconoscimento del volto, e altri dati biometrici usati per sistemi di sicurezza e identificazione personale. 

Questi contenuti oggetto del data mining possono includere informazioni personali sensibili, sollevando preoccupazioni sulla privacy degli individui che se ne vedono defraudati in rete senza nemmeno saperlo.
L’uso di dati personali nell’apprendimento automatico della IA può anche portare a vere e proprie violazioni della privacy, se non adeguatamente gestito.

Il punto di vista dei Garanti UE: più equilibrio tra innovazione e Privacy

La sfida dei prossimi anni sarà bilanciare le necessità “educative” e il potenziale dell’IA con il rispetto della riservatezza e dei diritti individuali dei cittadini.
Il Garante per la protezione dei dati personali italiano è stato il primo ad approfondire questi nuovi scenari con un’indagine su Open AI e suo ChatGPT che ha fatto conoscere al grande pubblico le potenzialità dei nuovi software basati sull’ intelligenza artificiale.
Nel provvedimento del 30 marzo 2023 veniva contestatala violazione del GDPR alla società statunitense preso atto che non esisteva alcun controllo all’accesso dell’ applicazione ai minori di 18 anni e: ”l’assenza di base giuridica che giustifichi la massiccia raccolta e archiviazione di dati personali per “addestrare” il chatbot”.
Solo dopo una serie di interlocuzioni finalizzate a rendere il software conforme al GDPR l’11 Aprile 2023 ne veniva permessodal Garante l’utilizzo in Italia condizionato all’ adozione di misure di salvaguardia dei dati personali degli utenti.

A sua volta l’European Data Protection Board, l’organismo dei Garanti UE, si è inserito nella tematica decidendo di lanciare una task force specifica su ChatGPT.
Il problema di fondo è semplice ed è stato ben sintetizzato dal Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali in un suo intervento:

“I dati personali di miliardi di persone, frammenti della loro identità personale e “titoli rappresentativi” di un diritto fondamentale come il diritto alla privacy vengono letteralmente pescati a strascico dalle grandi fabbriche dell’intelligenza artificiale globale per l’addestramento dei propri algoritmi e, dunque, trasformati in assets commerciali e tecnologici di pochi al fine consentire a questi ultimi di fare business. Il tutto avviene come se il web fosse un’immensa prateria nella quale tutto è di tutti e chiunque può pertanto impossessarsene e farlo proprio per qualsiasi finalità”

Per proteggere i dati personali dal web scraping illegale, è essenziale il ricorso generalizzato alla l’anonimizzazione e la pseudonimizzazione dei dati e l’implementazione di sistemi avanzati di autenticazione e autorizzazione. 
Il consenso informato gioca un ruolo cruciale, assicurando che gli individui siano pienamente consapevoli di come i loro dati vengano utilizzati e abbiano il controllo su di essi.

Il Ruolo della P.A. delle aziende e degli sviluppatori

Gli sviluppatori e le aziende hanno la responsabilità di garantire che le applicazioni IA siano sviluppate e utilizzate in modo responsabile secondo il criterio fondamentale della Privacy by design.
Per far fronte al web scraping dilagante anche i siti web della Pubblica Amministrazione e dei privati devono adottare misure di sicurezza robuste ed efficaci in modo da non compromettere l’usabilità per gli utenti legittimi.
Le migliori pratiche in termini di sicurezza dei dati, come la crittografia l’anonimizzazione e la pseudonimizzazione dei dati ma anche l’implementazione di sistemi avanzati di autenticazione e autorizzazione con audit di sicurezza, sono fondamentali per proteggere i dati raccolti da accessi non autorizzati e abusi nella raccolta.

Il webscraping e l’IA che impara da esso hanno il potere di trasformare radicalmente il nostro modo di interagire con il mondo digitale sicuramente in meglio.

Tuttavia, è imperativo che innovazione e rispetto della privacy procedano di pari passo, garantendo che i benefici della tecnologia non vadano a scapito del diritto alla privacy dei cittadini siano essi digitali o meno.

Non pensavo di vedere il seguito di Inside Out, ma in un pomeriggio piovoso mi sono trovato sul divano a guardarlo e ne sono rimasto piacevolmente spiazzato. Come nel primo film la narrazione è lasciata alle emozioni, i pupazzetti curiosi che hanno sembianze umane hanno slanci caratteristici di quello che rappresentano e così abbiamo Gioia che è sempre allegra e Tristezza che invece non lo è mai, Disgusto e Rabbia, Paura che tremante è sempre in un angolo.

Ma in questo secondo film, che è uscito a quasi 10 anni dal primo (ma quanto tempo è passato!) in questo viaggio attraverso il prisma delle emozioni, si esplora profondamente il concetto di identità proprio nel momento della transizione dall’infanzia all’adolescenza. E così ad un certo punto, una notte, mentre Riley (la ragazzina protagonista) dorme, irrompono altre emozioni e cambiano tutto.

L’identità e la sua crisi
L’identità, come ben osservava Zygmunt Bauman nella sua “Intervista sull’identità”, è in continua evoluzione, specialmente nel contesto della “modernità liquida”, dove i confini del Sé si dissolvono e si ricostruiscono costantemente.
Così come dice Bauman l’identità di Riley è messa a dura prova perché non ha più una identità, una immagine di sè unica “cristallizzata”, ma è fluidità, un processo in movimento, con una negoziazione tra le varie emozioni.
Sono entrate anche Ansia, Invidia, Noia e Imbarazzo.

Se vogliamo possiamo “disturbare” anche Jacques Lacan, con la sua teoria della fase dello specchio, che ci ricorda che la percezione del Sé è mediata dallo sguardo dell’altro. Riley, come molti adolescenti, si trova di fronte a uno specchio simbolico: quello delle aspettative degli altri, della società e dei suoi pari. In questa fase della sua vita, le emozioni interne entrano in conflitto con l’immagine riflessa, portandola a un’esplorazione più complessa e dolorosa di ciò che significa essere se stessi.

La socialità e l’autodefinizione del Sé
Se Lacan sottolinea il ruolo dello sguardo dell’altro, George Herbert Mead offre una prospettiva complementare, concentrandosi su come il Sé si sviluppa attraverso l’interazione sociale. In Inside Out 2, il ruolo della famiglia, degli amici e dei compagni di scuola diventa cruciale nella definizione dell’identità di Riley. Riley si trova a gestire le sue emozioni in relazione a queste nuove interazioni sociali, cercando di definire chi è nel mondo esterno, mentre tenta di mantenere una coerenza interna.

Perché un cartone animato su un tema così importante e “pesante”?
Viene naturale chiederselo. E’ un prodotto per bambini, per ragazzi…e perché caricare di una valenza così importante un prodotto di intrattenimento?
Per parte mia direi che questo sia uno dei pochi spazi rimasti in quel focolare che vedeva riunirsi i componenti di una famiglia in un percorso che sia inter-generazionale, con un linguaggio visivo e simbolico dell’animazione che si presta ad una doppia lettura: da una parte, i più piccoli possono divertirsi con i colori e le avventure delle emozioni, dall’altra, gli adulti possono riflettere sulle profonde implicazioni del Sé e dell’identità della nuova generazione.

L’importanza del dialogo intergenerazionale
La bellezza di Inside Out 2, secondo me, è proprio in questo, nel suo approccio leggero e simpatico alla complessità dell’identità, rendendolo in qualche modo accessibile ma non banale.

Alla fine, Inside Out 2 è molto più di un semplice sequel: è un’opera che, attraverso la metafora delle emozioni, riesce a raccontare la storia di ognuno di noi. Utilizzando l’animazione come linguaggio universale, il film ci ricorda che il viaggio alla scoperta di chi siamo non finisce mai, e che ogni tappa di questo viaggio merita di essere esplorata con la stessa profondità emotiva e intellettuale con cui i grandi filosofi e pensatori hanno affrontato la questione dell’identità. E poi è l’occasione per non dimenticare completamente che siamo stati anche noi adolescenti e abbiamo dovuto affrontare lo stesso impatto delle “nuove emozioni”.

Ve lo consiglio.

La Settima Arte è stata da sempre uno strumento potente per esplorare il concetto di identità. Identità personale o identità collettiva. Identità complessa e sfaccettata. E i “colpi di scena” certamente non sono quelli che si possono avere a teatro, vista la visione “immersiva” che se ne può avere. La domanda “chi siamo veramente?” viene esplorata attraverso storie che mettono in discussione l’individualità, l’autenticità e le maschere che indossiamo. Dai thriller psicologici ai drammi filosofici, ecco un elenco di dieci film che mettono l’identità al centro della loro narrazione.

Fight Club (1999)
Basato sull’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk, Fight Club esplora la crisi d’identità attraverso il personaggio del narratore (interpretato da Edward Norton), un uomo anonimo che soffre di insonnia e trova un modo estremo per affrontare il vuoto della sua vita. La lotta per riscoprire sé stesso lo conduce a incontrare, Tyler Durden (Brad Pitt), con cui sfida la società moderna. Il film pone domande sull’alienazione individuale, l’identità frammentata e il confine tra ciò che siamo e ciò che vogliamo essere.

Memento (2000)
La ricerca dell’identità diventa un rompicapo in Memento, dove Leonard Shelby (Guy Pearce) soffre di amnesia anterograda, una condizione che gli impedisce di creare nuovi ricordi. Il film di Christofer Nolan è strutturato in modo non lineare, riflettendo la frammentazione della memoria del protagonista e il suo disperato tentativo di dare senso a chi è, alla sua vendetta e alla sua vita. Questo thriller psicologico mette in luce come la memoria sia fondamentale per definire chi siamo.

The Truman Show (1998)
Nel Truman Show, Truman Burbank (Jim Carrey) scopre di vivere all’interno di un reality show, dove ogni aspetto della sua vita è stato manipolato e trasmesso in diretta. Questo film offre una potente riflessione sull’identità in una società mediatica, esplorando il tema del libero arbitrio contro il controllo esterno. Truman, alla ricerca della sua vera identità, si ribella al sistema che lo ha ingabbiato, rendendo evidente come la costruzione sociale influisca su chi pensiamo di essere.

Black Swan (2010)
La ballerina Nina Sayers (Natalie Portman) è costantemente divisa tra la perfezione che cerca e il lato oscuro che emerge dentro di lei. Black Swan è una discesa psicologica nell’ossessione, dove la dualità dell’identità viene esplorata attraverso il simbolismo del cigno bianco e del cigno nero. La metamorfosi di Nina mostra come l’identità possa essere mutevole, influenzata dalle aspettative esterne e dai desideri interni.

Lost in Translation (2003)
La solitudine e la disconnessione culturale sono al centro di Lost in Translation, dove due personaggi – Bob (Bill Murray) e Charlotte (Scarlett Johansson) – si trovano a Tokyo, cercando un senso di appartenenza. Il film di Sofia Coppola esplora la loro crisi esistenziale e il desiderio di ritrovare una connessione autentica con sé stessi e con gli altri. La loro amicizia diventa un rifugio per esplorare chi sono al di là delle aspettative sociali.

Her (2013)
In un futuro prossimo, Theodore Twombly (Joaquin Phoenix) sviluppa una relazione amorosa con un’intelligenza artificiale chiamata Samantha (doppiata da Scarlett Johansson). Her pone interrogativi su come la tecnologia influenzi la nostra percezione dell’identità e delle relazioni. Theodore, attraverso questa relazione virtuale, esplora il senso di solitudine e l’identità digitale, domandandosi se le connessioni artificiali possano essere autentiche quanto quelle umane.

Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004) di Michel Gondry
In questo film, la memoria e l’identità sono inestricabilmente legate. Joel Barish (Jim Carrey) e Clementine Kruczynski (Kate Winslet) decidono di cancellare i ricordi della loro relazione tramite una procedura sperimentale. Tuttavia, nel processo, Joel scopre che anche i momenti più dolorosi fanno parte di chi è. Il film riflette sull’importanza dei ricordi nella formazione dell’identità e su come il tentativo di cancellare il passato possa privarci di una parte essenziale di noi stessi.

Mulholland Drive (2001) di David Lynch
Mulholland Drive è un puzzle surrealista che esplora la confusione dell’identità in una Hollywood noir. Due donne (Naomi Watts e Laura Harring) si imbarcano in un viaggio onirico che sfuma continuamente tra realtà e immaginazione. Lynch utilizza simbolismi e narrazioni non lineari per rappresentare la dualità e la frammentazione dell’identità, rendendo il film un’esperienza unica nel suo genere, in cui chi siamo dipende dalle percezioni e dalle esperienze vissute.

The Double (2013)
Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Dostoevskij, The Double narra la storia di Simon James (Jesse Eisenberg), un uomo timido e anonimo, la cui vita viene sconvolta dall’arrivo di un suo doppio identico, ma carismatico e sicuro di sé. Il film esplora il concetto di identità attraverso il contrasto tra l’immagine che diamo al mondo e ciò che siamo veramente. La figura del doppio rappresenta il conflitto tra desiderio e realtà, mostrando come l’identità possa essere una costruzione instabile.

Persona (1966) di Ingmar Bergman
Un classico del cinema d’autore, Persona è un’indagine filosofica e psicologica sull’identità e sulla maschera che indossiamo. La storia segue l’attrice Elisabeth Vogler (Liv Ullmann), che perde improvvisamente la capacità di parlare, e la sua infermiera Alma (Bibi Andersson), mentre le loro personalità iniziano a confondersi. Bergman usa la metafora della “persona” (dal latino “maschera”) per esplorare la disintegrazione dell’identità e la crisi esistenziale, suggerendo che chi siamo è in gran parte una costruzione artificiale.

Questi film mostrano come l’identità possa essere fragile, mutevole e influenzata da forze esterne. Attraverso personaggi che cercano di capire chi sono veramente, i registi ci invitano a riflettere sulle nostre stesse vite e sul modo in cui definiamo noi stessi. Che si tratti di una lotta contro il sistema, un viaggio interiore o una discesa nella follia, l’identità rimane uno dei temi più affascinanti e complessi che il cinema possa esplorare.

Non possiamo sapere se sia già accaduto, ma di certo non è storia di tutti i giorni che un libro ispiri una canzone.
Succede con “I giorni del mare“, nuovo singolo del cantautore Davide Mottola (dal 25 ottobre 2024 disponibile in tutti i digital store), ispirato al libro omonimo della scrittrice Caterina Adriana Cordiano, pubblicato nel 2019 da Pellegrini Editore.

Il libro, dato alle stampe pochi mesi prima che il Covid 19 facesse irruzione nelle nostre vite, pur ottenendo lusinghieri consensi di pubblico e di critica letteraria, non ha potuto godere naturalmente della giusta e capillare promozione; ma ecco ora improvvisamente nutrirsi di una nuova vita grazie al contributo artistico del cantautore romano, catturato dalle innumerevoli sfumature ed incursioni del romanzo.

Un uomo alla ricerca della sua identità, la fuga dalle delusioni e dagli intrighi che coinvolgono la sua vita affettiva e professionale, il distacco dall’inquietudine della città, la ricerca di un riparo segreto, l’abbraccio con le sue origini, con la vastità del mare, per poter placare i suoi turbamenti e ritrovare se stesso.

Da queste suggestioni, nasce il desiderio di Davide Mottola di tradurre in versi ed in musica questo percorso, nel quale ogni ascoltatore, come ogni lettore, può riconoscersi, identificarsi, o confrontarsi con la propria personalità, con la propria avventura umana.

Canzone e libro, in un inedito e straordinario abbraccio, viaggeranno in questo progetto, scritto e diretto da Gerry Mottola, giornalista e direttore artistico.

Un percorso denso di momenti, occasioni, incontri e confronti che avrà il suo inizio Venerdì 25 ottobre, alle ore 18.30, presso il Teatro della Dodicesima di Roma, con la presentazione del libro e del brano.

All’evento, promosso da Frammenti Sonori Associazione Culturale, in collaborazione con TamTam Cultura APS e Condi-Visioni.it, testata giornalistica on line, parteciperanno Caterina Adriana Cordiano, autrice del libro, Davide Mottola, autore e interprete del brano, Cettina Quattrocchi, Presidente Consulta della Cultura Municipio Roma IX, Gerry Mottola, autore del progetto.

Nello stesso giorno avverrà la pubblicazione del brano (prodotto da Gerry Mottola e Davide Mottola per la Long Digital Playing di Luca Bonaffini, con gli arrangiamenti di Edoardo Petretti) in tutti i digital store.

Successivamente, un’altra presentazione si terrà a Napoli nel mese di novembre, mentre per il mese di dicembre è in preparazione una serata evento a Roma che vedrà la partecipazione di importanti artisti ed autorità intellettuali. Un “concerto in viaggio” sulle note musicali, letterarie, poetiche, umane e sociali del libro e della canzone.

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La poetessa romana Raffaella Belli pubblica la sua nuova raccolta di poesie “Tende all’eterno ogni sospensione” edita da Edizioni “Il Simbolo”.
A distanza di tredici anni dalla sua ultima raccolta, Raffaella Belli torna alla poesia con un volume vasto e intenso, dove la voglia per una ricerca di luce e armonia si sposa al canto della vita. Con “Tende all’eterno ogni sospensione” (Edizioni “Il Simbolo”, prefazione di Elio Pecora, 153 pagine, 15,00 euro) il poeta conduce il lettore in un limbo segreto, dove ognuno di noi può sperimentare il senso di un’esistenza altra che sappia mutare ogni vibrazione di un respiro che anela all’equilibrio e alla pace dello spirito, poiché senza il presupposto e l’impegno di una naturale preghiera, nonché dei fini trasformativi di una educazione, non è possibile mutare il corso di questo mondo. Non a caso la stessa poetessa avverte nella nota finale al testo come “Le tre sezioni che compongono l’opera poetica, scritte negli ultimi anni, sono testimonianza di un mio sentire poetico in evoluzione costante”.

Raffaella Belli (Roma, 1970) esordisce nel 2001 con la silloge “Pensieri d’Azzurro” (Ibiskos Editrice, prefazione di Giovanna La Vecchia). Tra il 2002 e il 2005 ha pubblicato su periodici, quotidiani e riviste, le seguenti sillogi: “Occhi invisibili”, “L’equilibrio dei fiori”, “Lunafiamma”, “I cedri e l’acqua” e “Silenzio di tempo”, ricevendo attenzione e riconoscimenti in numerosi premi poetici.
Con Maurizio Gregorini, nel 2006, ha pubblicato la silloge “Scaglie di passione” (Edizioni del Cardo). Nel 2011, sempre per le Edizioni del Cardo esce la raccolta poetica “Elitra Diafana – Partitura”. Anche Elio Pecora, nell’introdurre il lettore a questa poetica avverte come la poetessa “Mai lasciando la giornata che logora e trattiene, porta in un altrove i suoi pensieri misti di aspre verità e di cercati rispecchiamenti”. E prosegue citando suddetti versi:

È linfa che corre veloce
la seduzione di un canto
nei recessi del tempo.
Lampo di onde silenti,
collegamento ritmico in un mondo
taciturno nell’estensione dell’attimo

per poi chiarire in che modo “in questi versi leggiamo molto e tutto di quanto sostanzia questo libro e ne rende la vivezza e la necessità. Ed è l’altrove della parola che s’interroga, che sfida sé stessa nei significanti, e si concede e si nega insieme per un’attesa inesausta di interiore salute, di bramata conoscenza. Non si distinguono luoghi né volti in questo poetare; l’indeterminatezza ne estende la comunanza e la durata. Il tempo si compie per ‘impenetrabili passaggi’ e l’essere si presenta come la sola vera misura dell’esistere.

Così ricorrono nei diversi componimenti, tutti brevi e densi, tutti chiari e inquietanti, sostantivi (compiutezza, trasparenza, riflessione, inerzia) che segnano domande estreme e pretendono risposte. E’ che qui si vuole ‘plasmare parole oltre la materia’, opporsi all’affanno ‘dei limiti in lotta’, rendersi consapevoli anche nella pena e nella discordia, appressarsi all’imponderabile altresì ‘nei vincoli della carne’. Risuonano parole che accompagnano verso un meno angusto tragitto: ‘La mappa del mondo /
sognata da passi / è celata dal viaggio’. E qui vale rammemorare quel che James
Hillman chiama ‘l’anima del mondo’. Chi va così pronunciandosi ha lasciato le
stanze e le voci per risalire agli inizi e chiedersi le ragioni prime, quindi interrogare
e interrogarsi per riconoscersi, finanche nella stupefazione. Quest’anima, non legata
a un nome e a un destino, appartiene a tanti e a tutto: ‘Trascinata nei gorghi’ va,
ancora va, promettendosi ‘un’intesa d’amore’ e scioglie dal silenzio ‘inattese
risposte’. Così vasto e intenso è il suo desiderio di luce e di armonia che pure nella pena più fonda non si sottrae al ritmo della Terra, al canto della vita. Ed è in questa ondulante sapienza la misura raggiunta, il possibile traguardo”.

Abbiamo intervistato la poetessa Raffaella Belli per i lettori di Condi-Visioni. Ci accoglie nella sua bellissima casa romana, tra quadri, libri, due gatti ed un’atmosfera d’altri tempi. Tutto somiglia a lei e lei somiglia a tutto ciò di cui è circondata. Una luce soffusa avvolge tutto e l’accoglienza è calda e serena.

Tutto è armonia e l’autrice di “Tende all’eterno ogni sospensione” ha un sorriso rassicurante che trasmette un infinito senso di pace. La poesia di Raffaella Belli è contorcente, i suoi versi si aggrappano alle viscere del lettore, ogni organo ne è profondamente ed intimamente coinvolto. E’ potenza pura, è urlo, è tenacia, forza, coraggio e conoscendo l’autrice tutto questo sentimento lacerante sembra celato, perché tutto ciò che noi vediamo è un volto rilassato con due occhi carichi di luce e di speranza. E’ rassicurante Raffaella Belli, è pacata, il tono di voce equilibrato e moderato, la sua ironia è
spiazzante, la sua autoironia è brillante, ed è disarmante e sorprendente venire a
conoscenza che quei versi arrivano da una donna così confortante ed incoraggiante.
Dentro di lei un mondo così profondo, intimo, personale raccontato con una potenza
devastante. Non deve essere stato assolutamente impresa semplice per lei, raccontarsi
così ferocemente, per questo forse dovremmo sapere apprezzare ancora di più tutto ciò che accade in questo nuovo libro edito da Edizioni “Il simbolo”.

Belli, ne sono passati di anni da quando la incontrai per prefarle il suo primo libro di versi. Le confesso che sono soddisfatta che abbia potuto, nel corso del tempo, trovare un giusto equilibrio di scrittura.
“Trova? Se così fosse la ringrazio davvero. Però per mia natura sono e resto sempre incerta, soprattutto se si tratta di scrittura, in questo caso, di poesia. Sono e resto assillata da dubbi: è giusto?, non è giusto?, questa poesia rende davvero ciò che intendo riferire? Sa, le confesso che ogni volta che rileggo versi da me scritti, il discutibile mi si presenta con sfrontatezza, lasciandomi incerta se si tratti di versi felici”.
Se così non fosse, non credo che un poeta della statura di Elio Pecora ne avrebbe aperto un dialogo col lettore. So bene come Pecora introduca solo libri di qualità.

“Guardi, sono ancora sorpresa: considerare che un poeta del calibro di Pecora
abbia speso parole significanti per il mio nuovo libro può solo significare che
davvero dovrei accettare il fatto che forse poeta lo sono per davvero. In altri termini:
devo considerare per forza di cose che in me vive anche questa identità”.
Ecco, identità. Questo nostro numero tratta proprio il tema della identità. Lei
come risolve la questione?

“Ah, proprio non saprei. Pero so che si tratta di un termine e un principio filosofico
che genericamente indica l’eguaglianza di un oggetto rispetto a sé stesso; nel mio
caso forse l’oggetto è la poesia stessa. Però in relazione ad altri oggetti l’identità è
tutto ciò che rende un’entità definibile e riconoscibile, perché possiede un insieme di
qualità o di caratteristiche che portano l’essere a divenire un tutt’uno col circostante.
Va anche detto, nel modo in cui ognuno di noi sa bene, che l’identità è anche presa di coscienza della propria individualità corporea, consapevolezza del valore del corpo come una delle espressioni della personalità.

Non è un caso anomalo che recenti ricerche chiariscono in che modo lo sviluppo dell’immagine corporea è il punto di partenza per la costruzione del sé in tutte le sue dimensioni. Infine, come ha affermato il filosofo Remo Bodei in un’intervista dell’Enciclopedia Multimediale
delle Scienze Filosofiche del 1996, il concetto di identità personale designa la
coscienza che un individuo ha del suo permanere lo stesso attraverso il tempo e
attraverso le fratture dell’esperienza. Ma tornando a noi, a me, se vogliamo
tratteggiare una probabile identità poetica, non posso non affermare che, in quanto
poeta, la mia identità è certamente visionaria. Come ogni poeta, anche io immagino
e ritengo vere cose non rispondenti alla realtà, elaborando, con le parole, disegni
inattuabili. Una sognatrice? Forse, anche se generalmente chi viene considerato tale
può essere soggetto a visioni, apparizioni soprannaturali, allucinazioni visive, ma le
assicuro che non è il mio caso. E soffermandomi sul mio nuovo libro di poesia, posso
dirle di essere una persona dotata di immaginazione e di sentimento, racconto il mio
mondo in modo verosimile, lasciando a me stesa la libertà di creazione e invenzione.
O perlomeno è quello che sostiene di me Maurizio Gregorini, editore di questo libro”.
Oh, il Gregorini: quando si tratta dei suoi versi c’è sempre lui di mezzo. Tra
l’altro anni fa avete licenziato una silloge insieme. So che lui stima molto il suo
lavoro. Tra l’altro io sarei una complice: vi feci incontrare anni fa e mai avrei
immaginato una totale empatia del vostro rapporto.

“Trovo Maurizio un uomo amabile. E sì, devo a lui una certa maturazione poetica. Sempre lì a chiedermi se scrivo nuove poesie, a volerle leggere, a consigliarmi su come costruire un libro. Anche nel caso di ‘Tende all’eterno ogni sospensione’ c’è stata la sua fermezza a volerlo editare. Aveva appena aperto la sua casa editrice e, nell’esprimergli la mia contentezza, ha chiesto immediatamente un libro. Ora, lei sa bene che io pubblico raramente, perché proprio nel modo in cui ci siamo detti poco fa, sono e resto esitante. Ma niente, ha voluto gli dessi le tre sezioni che sono parte
del libro e non c’è stato nulla da fare: alla mia incertezza ha avanzato il suo convincimento”.
E non ne è felice?
“Come non esserlo? Se non ci fosse stata la sua determinazione il libro non esisterebbe; forse tiene a questa nuova pubblicazione più di quanto ci tenga io (ride,n.d.i.). Ma è e resta per me un amico fidato, fondamentale. Pensi che a molti tiene sempre a dire che è come fossimo sposati, e in un certo senso è vero: sono certa di esistere poeticamente perché c’è sempre lui a sostenermi, contro ogni logica”.
Ma Gregorini ama la sua poesia…
“Sì, ed è sempre lui a ripetermi che debbo pensare, riflettere, scrivere, in quanto poeta, non in quanto persona comune. Mai incontrato un lettore più convincente di lui. Che dire? E’ evidente che si tratta di un destino che unisce le nostre anime”. Cosa pensa di aver aggiunto alla sua poesia con la nuova opera? “Proprio non saprei. Gregorini mi è solito affermare che, anche se i temi da me proposti sono ricorrenti, si tratta di una poesia affatto superficiale, che per penetrarvi si necessita di una rilettura costante, come si trattasse di un trattato spirituale; almeno a lui accade così. Non a caso ha scelto una incisione ottocentesca giapponese per la grafica e voluto mettere in quarta di copertina questi versi:

‘Soggiogata nell’ardente immortalità/ trascoloro ignara della tenebra./ Interminabili
fiammeggianti guizzi/ dispongono nelle altezze celesti/ la sontuosità d’ineffabili
amori./ Velato nel rigoglio dei fiori/ protetto dai perseveranti cieli,/ il canto della vita
mia/ narra di un giardino di pietre’.

Ma lui mi ama e non fa testo (ride di nuovo,n.d.i.). I motivi ricorrenti nei miei versi, lo ribadisco, sono sempre gli stessi: la luna, il mare, la terra, la flora, l’invisibile percepito nel visibile… in essi sono certa di riscontrare una libera spontaneità per una giocosità della naturale creazione: mi affascina il cosmo, l’energia, la fisica, l’imponderabile. Non spetta a me dire se abbia aggiunto o no qualcosa alle precedenti pubblicazioni; spero solo che chi si
appresta a leggere queste poesie ne gradisca la musicalità o un possibile fascino”.

Ci salutiamo con un caffè e le fusa dei gatti, rimane impressa in noi una immagine molto forte, un sentimento che ha accompagnato l’intera intervista, lo scambio di battute, la visita della casa, per tutto il tempo ci siamo sentiti avvolti e protetti, la poetica di Raffaella Belli e della sua casa ci tiene lontani da un mondo che non capiamo più e che ha perso e vuole farci perdere identità e natura. Per qualche ora siamo stati immuni al resto quasi con la certezza di una possibile salvezza. La poesia è vita e da vita ad ogni cosa, ne comprendiamo appieno la portata, ma la poesia di Raffaella Belli riesce a fare qualcosa di più, ci rende donatori di qualcosa di bello, di sano e di pulito a chi vuole comunicare con noi e vuole comprendere. Ci sono incontri particolarmente felici, questo è sicuramente uno tra quelli che potremo ricordare in un modo diverso. Leggere “Tende all’eterno ogni sospensione” (già il titolo è una poesia), è stato un viaggio lungo e memorabile, comodamente seduti su una poltrona ben imbottita e con un’ottima tappezzeria, eppure non esente da rischi, poiché la poesia, quella vera, ha in sé inevitabilmente il rischio della consapevolezza,
della coscienza e della verità.

Appuntamento domenica 22 settembre con la III Edizione della SARKRACE, corsa o passeggiata campestre benefica organizzata a Roma per la ricerca e la cura del sarcoma.

Dopo lo straordinario successo delle precedenti edizioni, con centinaia e centinaia di partecipanti, tra pazienti, medici, amici, studenti, volontari e cittadini provenienti da tutta Italia, torna a far tappa a Roma la SARKRACE, un evento sportivo amatoriale aperto a tutti, per sensibilizzare e raccogliere fondi per la ricerca e la cura dei sarcomi dei tessuti molli, rara forma di tumore, dalla complessa gestione clinica.

L’evento, ideato ed organizzato da Sarknos (Associazione Pazienti Sarcomi dei Tessuti Molli),in collaborazione con la Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, è patrocinato dalla Regione Lazio, dal Municipio IX di Roma Capitale e da F.A.V.O. (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia).

L’appuntamento è per domenica 22 settembre 2024, con partenza alle 10,00 da via Àlvaro del Portillo, 5, presso la Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico. 

Il percorso della SARKRACE 2024 sarà lungo la pista ciclo-pedonale che costeggia Via Àlvaro del Portillo, dal parcheggio del CESA fino alla fermata dell’autobus di fronte al centro sportivo “Sport City Roma”, e ritorno.

Ciascun partecipante riceverà un gadget a scelta tra maglietta, ventaglio, cappellino o magnete, secondo disponibilità e fino ad esaurimento scorte, ed una bottiglietta d’acqua con un panino.

Parteciperanno all’iniziativa la Prof.ssa Rossana Alloni (Direttore clinico Campus Bio-Medico), la Dott.ssa Antonella Venditti (Direttore sanitario Campus biomedico), il Prof. Bruno Vincenzi (Responsabile UOS Day Hospital oncologia Campus Bio – Medico) ed il Dott. Sergio Valeri (Responsabile Chirurgia dei sarcomi dei tessuti molli Campus Bio-Medico e Presidente dell’Associazione Sarknos).

Le iscrizioni sono aperte al costo di 20 euro. Il ricavato verrà interamente devoluto per le attività di ricerca e di cura dei sarcomi dei tessuti molli.

Per informazioni:

www.sarknos.it

amministrazione@sarknos.it

Per iscriversi: https://www.sarknos.it/iscrizione-sarkrace

Immaginate un’epoca in cui l’apparenza sia tutto, dove ogni dettaglio della vita quotidiana venga curato in modo maniacale per mantenere una facciata perfetta.
Questo era il mondo nella Londra dell’età vittoriana.
Nessuna attenzione a quelli che fossero i problemi personali o i comportamenti certamente poco nobili e poco “morali” dei cittadini, ma tantissima agli abiti che indossavano, alle cure che avevano per il “manico dell’ombrello” e il modo “affettato” del parlare. Una grande rigidità sociale, non solo poi nei costumi, ma anche nella mobilità sociale perché certamente solamente i nobili e i ricchi potevano permettersi il mantenimento di quello “standard” di vita, di spesa. Le famiglie non in grado di “stare al passo” potevano essere emarginate o, per evitarlo o prevenirlo, potevano migrare nel nuovo mondo cercando di “scambiare” nobiltà con ricchezza.

Immaginate i dandy del XIX secolo, che si distinguevano per il loro stile raffinato e la loro vita elegante, per il cilindro teso e brillante, la barba ben curata, immaginatevi su quei dagherrotipi le parole di Oscar Wilde: i suoi aforismi a sottolineare quel mondo “strano”, dove la “corruzione del corpo” andava avanti senza scalfire l’immagine esteriore proprio come ne “il Ritratto di Dorian Grey”.

Immaginato?

Ora scorrete i reel su Instagram o su TikTok: spiagge immacolate, città pittoresche e paesaggi mozzafiato, sorrisi, situazioni buffe, balletti che vedono ragazzi e ragazze che sono diventate “celebrità” secondo quella legge che Andy Warhol aveva enunciato quasi 60 anni fa.
Queste immagini creano l’illusione di una vita perfetta e di destinazioni da sogno. Tuttavia, la realtà è spesso molto diversa.
Quello che non vediamo in quei tramonti, in quegli orizzonti, sono le folle di turisti, il traffico, il rumore, e talvolta persino le condizioni climatiche avverse. I luoghi presentati sui social media sono il risultato di una cura meticolosa della scena, di filtri e di angolazioni studiate per mostrare solo il meglio.
Quello che non vediamo in quei balletti “improvvisati” su una base “virale” di 20 secondi, sono le prove, le coreografie provate fin nel dettaglio più insignificante.

Molti sentono l’impulso di visitare gli stessi luoghi, sperando di replicare le esperienze viste online. Tuttavia, quando arrivano, spesso trovano una realtà che non corrisponde alle loro aspettative. Questo disallineamento tra realtà e rappresentazione può portare a delusioni e a una continua ricerca di quel momento perfetto che esiste solo nelle foto filtrate, solo nei balletti di TikTok provati e riprovati minuziosamente.

Così come quelle gonne ampissime e gli abiti pieni di merletti come una cattedrale barocca era piena di stucchi, i sorrisi sono il frutto di un nuovo Dandismo dove, anziché salotti e giardini ben curati, il palcoscenico è il mondo digitale e i social network. Scenari dove la realtà viene rappresentata in modo spesso distorto.

Prima di avviarci verso una spiaggia deserta, prima di pensare di calpestare una sabbia bianchissima o di fare tuffi in acque cristalline, pensiamo a dove vorremmo davvero essere, a cosa vorremmo davvero, per spezzare questa catena di illusioni perfette.

La bellezza risiede anche nelle imperfezioni perché ogni esperienza, reale e non filtrata, ha il suo valore unico.

Buone vacanze a tutti.

Ah…..scattate foto bellissime!

L’accordo raggiunto dopo estenuanti trattative nel Trilogo tra Parlamento, Consiglio e Commission, noto come AI Act, rappresenta una svolta epocale nella storia delle tecnologie emergenti.

Con prossimo Regolamento, pubblicato non prima della primavera 2024, l’Unione Europea si posiziona non solo come un leader normativo globale, ma anche come un pioniere nell’intrecciare etica e legge nell’ambito dell’intelligenza artificiale.

L’impatto di questa legislazione è vasto, impattando l’intelligenza artificiale la società a più livelli, influenzando l’economia nascente del settore e rafforzando i diritti umani fondamentali in un’era dominata sempre più dalla tecnologia.

Non mancano le voci critiche sulle scelte annunciate dall’Unione definite da alcuni eccessivamente allarmistiche, paternalistiche e scollegate rispetto ad un mercato ancora agli albori.

Va ricordato però che anche negli USA, paese leader nel settore della IA Generativa (Chat GPT di Open AI, Bard e Gemini di Google solo per citare i chatbot più noti) almeno 25 Stati nel 2023 hanno preso in considerazione una legislazione specifica e 15 hanno emanato leggi o risoluzioni, mentre il Presidente Biden ha firmato il 30 ottobre un Executive Order che fissa standard di protezione della sicurezza e della privacy.

Anche in Cina la Cyberspace Administration of China ha fissato linee guida sulla intelligenza artificiale generativa che impongono una disciplina specifica dei contenuti in chiave di salvaguardia dell’ordine pubblico.

Secondo PwC l’I.A. apporterà un contributo all’economia globale di 15.7 trilioni di dollari di cui, 6,6 trilioni di dollari deriveranno probabilmente dall’aumento della produttività e 9,1 trilioni di dollari nei da effetti collaterali sui consumi che saranno rivoluzionati in praticamente tutti i mercati insieme alla logistica.

Le applicazioni di Intelligenza artificiale generativa ( qualsiasi tipo di intelligenza artificiale in grado di creare, in risposta a specifiche richieste, diversi tipi di contenuti come testi, audio, immagini, video) sono in continuo aumento generando condivisibili ansie in tutti i settori in cui l’impatto sulla occupazione è considerato rilevante quanto inevitabile.

Principali tools di IA generativa by Sequoia al 17 ottobre 2022

La regolazione europea: principi fondamentali

Schematizzando i contenuti dell’accordo raggiunto dai tre legislatori UE ecco gli elementi salienti del prossimo Regolamento.

Protezione dei diritti civili

Il cuore dell’AI Act europeo è focalizzato sulla protezione dei cittadini contro i rischi potenziali delle nuove applicazioni.

La norma fisserà una serie di divieti mirati a salvaguardare la privacy e prevenire abusi possibili ai danni dei cittadino, fra cui:

  • sistemi di categorizzazione biometrica che utilizzano caratteristiche sensibili (es. convinzioni politiche, religiose, filosofiche, orientamento sessuale, razza);
  • raccolta non mirata di immagini facciali da Internet o filmati CCTV (TV a circuito chiuso) per creare database di riconoscimento facciale;
  • riconoscimento delle emozioni sul posto di lavoro e nelle istituzioni educative;
    punteggio sociale basato sul comportamento sociale o sulle caratteristiche personali;
  • sistemi di intelligenza artificiale che manipolano il comportamento umano per aggirare il loro libero arbitrio;
  • ogni applicazione in cui l’intelligenza artificiale viene utilizzata per sfruttare le vulnerabilità delle persone (a causa della loro età, disabilità, situazione sociale o economica).

Le eccezioni per le forze dell’ordine
Nonostante le restrizioni generali, la norma in fieri concede specifiche eccezioni per le forze dell’ordine, bilanciando le esigenze di sicurezza pubblica con la tutela dei diritti individuali che includono l’uso controllato di sistemi di identificazione biometrica in contesti dove la sicurezza pubblica potrebbe essere in gioco, come la ricerca di sospetti di gravi reati. L’obiettivo è prevenire l’abuso di tecnologie potenzialmente invasive come ad esempio l’identificazione generalizzata dei partecipanti ad una manifestazione politica, sindacale ecc.

Dettagli sugli obblighi per i sistemi ad alto rischio
L’AI Act classifica alcuni sistemi di intelligenza artificiale come “ad alto rischio” ovvero quando risultano capaci di incidere in modo sensibile sulla salute e sui diritti fondamentali delle persone fisiche.e impone loro requisiti rigorosi per garantire la sicurezza e la conformità etica. Questi sistemi includono quelli impiegati in settori critici come la sanità, il trasporto, l’energia, dove un malfunzionamento o un abuso potrebbe avere conseguenze gravi. Il regolamento richiede che questi sistemi siano trasparenti, affidabili e soggetti a valutazioni d’impatto periodiche.

Implicazioni per i sistemi di I.A. generali
Per i sistemi di I.A. di uso generale, si applicheranno norme di trasparenza e obblighi di documentazione tecnica. Una cautela è particolarmente importante per i sistemi che, pur non essendo classificati come ad alto rischio, hanno comunque il potenziale di influenzare significativamente la vita quotidiana delle persone. Le norme si spera garantiranno che gli utenti comprendano come e perché determinate decisioni vengono prese dai sistemi di I.A., promuovendo una maggiore fiducia nell’uso della tecnologia.

Promozione dell’innovazione e supporto alle PMI
Un aspetto fondamentale dell’AI Act è il suo impegno per promuovere l’innovazione e supportare le piccole e medie imprese ma anche gli alti costi di implementazione. Solo l’addestramento e la formazione di ChatGPT-4 è costata 100 milioni di dollari. Commissione, Consiglio e Parlamento UE hanno concordato l’introduzione di “sandbox regolatori” spazi liberi per stimolare lo sviluppo tecnologici . Tali ambienti controllati permettono alle aziende di sperimentare e affinare le soluzioni di I.A. prima del lancio sul mercato, riducendo così gli ostacoli alla crescita e alla competitività.

Sanzioni
L’AI Act non solo stabilisce linee guida, ma prevede anche sanzioni rigorose per la non conformità, che possono arrivare fino a 35 milioni di euro o al 7% del fatturato globale dell’azienda. Queste misure dimostrano la serietà con cui l’UE intende far rispettare le nuove normative, sottolineando l’importanza di un uso responsabile dell’IA.

Impatto e crescita dell’Intelligenza Artificiale in Italia

La diffusione e l’importanza dell’intelligenza artificiale in Italia sono messe in luce da dati recenti forniti dall’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano. Questi dati rivelano che il mercato dell’Artificial Intelligence nel nostro paese vale attualmente 380 milioni di euro, registrando un impressionante aumento del 27% rispetto all’anno precedente.

Un terzo degli investimenti per progetti di Intelligent Data Processing, il 28% NLP e Chatbot, il 19% Recommendation System, il 10% Computer Vision, il 9% Intelligent RPA

Oltre 6 grandi imprese su 10 hanno già avviato almeno un progetto di AI, tra le PMI il 15%

Il 93% degli italiani conosce l’AI, il 58% la considera molto presente nella vita quotidiana e il 37% nella vita lavorativa. 

Il 73% degli utenti ha timori per l’impatto sul lavoro

Nonostante questa rapida espansione, emerge una discrepanza nella percezione pubblica dell’IA: sebbene il 95% delle persone sia a conoscenza dell’esistenza dell’IA, solo il 60% è in grado di riconoscerne le funzioni in prodotti e servizi concreti. Questo sottolinea la necessità di una maggiore consapevolezza e comprensione dell’I.A. tra il pubblico italiano come confermato uno studio di Goldman Sachs secondo cui abbiamo il tasso più basso di ricerca dei principali tool di I.A. sul web in tutta Europa.

L’influenza occulta della I.A. nel marketing il vero rischio per i consumatori
Nell’era digitale, il marketing assistito dall’intelligenza artificiale sta diventando sempre più raffinato e pervasivo.

In Italia il 19% del mercato della I.A. è legato ad applicazioni basate su algoritmi che suggeriscono ai clienti contenuti in linea con le singole preferenze (Recommendation System).

Se da un lato l’intelligenza artificiale offre benefici in termini di personalizzazione dell’offerta e efficienza nella customer care, dall’altro nasconde rischi significativi per i consumatori.

McKinsey Applicazioni dell’AI marketing nel ciclo di vita del cliente – Smart Insights, 2021

Uno studio di McKinsey ha messo in evidenza con accuratezza e precisione come l’intelligenza artificiale può incidere un tutto il ciclo di vita commerciale del cliente dalla creazione dei contenuti per generare la domanda all’analisi predittiva dei bisogni e più ancora a strumenti molto discussi come il dynamic pricing e persino al customer service predittivo.

L’utilizzo spregiudicato della I.A. nel marketing può tuttavia portare a manipolazioni, invasione della privacy e amplificazione di pregiudizi chiaramente in contrasto con le garanzie e tutele previste dagli ordinamenti dell’UE e nazionali.

Manipolazione comportamentale

La I.A. può analizzare enormi quantità di dati per creare profili utente dettagliati, permettendo ai marketer di indirizzare messaggi pubblicitari in modo estremamente personalizzato. Questo può sfociare in tecniche di manipolazione che sfruttano le vulnerabilità psicologiche degli individui, influenzando le loro decisioni di acquisto in modi che possono non essere nel lorointeresse ovvero decisioni commerciali che non avrebbero assunto con la dovuta consapevolezza in contrasto con il Codice del Consumo.

Invasione della Privacy

Il marketing basato sull’I.A. richiede l’accesso a dati personali spesso sensibili. La raccolta e l’analisi massiva di questi dati, senza il consenso esplicito e informato dell’utente, rappresentano una grave violazione della privacy. Inoltre, l’accumulo di dati può aumentare il rischio di fughe di informazioni e abusi.

Amplificazione di pregiudizi e discriminazioni

L’I.A. è priva di pregiudizi sono se lo sono anche i dati su cui è addestrata. Se i contenuti appresi riflettono pregiudizi esistenti, il programma può involontariamente perpetuarli e amplificarli Nel contesto del marketing, ciò può tradursi in discriminazioni basate su età, genere, etnia o altre caratteristiche personali, con campagne mirate che rinforzano stereotipi e disuguaglianze.

Conclusioni: la necessità di una regolamentazione responsabile nell’interesse di cittadini e imprese

Alla luce di questa breve disamina, diventa essenziale che l’impatto sulla vita dei cittadini dell’I.A. sia sottoposto a una regolamentazione attenta e responsabile, in linea con i principi dell’AI Act e le altre fonti dei diritti fondamentali.

La tutela dei cittadini, anche nella veste di consumatori, deve essere una priorità, garantendo un marketing trasparente, etico, che non invada la privacy o manipoli le persone profilandole illegalmente e inducendole a scelte di ogni tipo in contrasto con il proprio interesse e quella delle loro comunità.

L’AI Act dovrà ricevere l’approvazione formale del Parlamento europeo e del Consiglio, per entrare quindi in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

La legge sull’IA diventerà applicabile due anni dopo la sua entrata in vigore, fatta eccezione per alcune disposizioni specifiche: i divieti si applicheranno già dopo 6 mesi, mentre le norme sull’IA per finalità generali si applicheranno dopo 12 mesi.

Per il periodo transitorio che precederà l’applicazione generale del regolamento, la Commissione ha deciso di lanciare il Patto sull’IA, rivolto a sviluppatori di I.A. europei e del resto del mondo, che si impegneranno a titolo volontario ad attuare gli obblighi fondamentali della legge sull’IA prima dei termini di legge.

Il testo del futuro Regolamento UE e la sua attuazione richiederanno certamente ulteriori approfondimenti, specifiche tecniche più dettagliate e chiarimenti su chi debba vigilare, contemperando il sempre difficile equilibrio tra regolazione e libertà di iniziativa economica in un settore in cui USA, Cina e Regno Unito sono leader mondiali con solo due Paesi della UE ovvero Francia e Germania ben distanziati in termini di investimenti e startup.

Il Cinema è la “Settima Arte” ed è quella che più delle altre usa l’Apparenza come sistema di comunicazione con il proprio pubblico. Certo anche i giochi dei bambini a volte iniziano con un “Facciamo finta che…”, e nel Teatro l’attore con il volto truccato pesantemente può essere l’Otello di Shakespeare o un samurai nel teatro kabuki, ma si svolge in uno spazio definito. Il Cinema riesce infatti ad unire “l’estensione dello spazio e la dimensione del tempo” (come scrisse Canudo nel 1921, nel manifesto “La nascita della settima arte”).

Così ho pensato di fare un elenco di 10 film che hanno proprio “L’Apparenza” come tema centrale.

  1. American Beauty (1999) – Le vite apparentemente perfette di una famiglia suburbana e le realtà nascoste dietro la facciata.
  2. The Great Gatsby (2013) – Dal romanzo di F. Scott Fitzgerald, si mette in luce la vita lussuosa e le illusioni del protagonista Jay Gatsby.
  3. Gone Girl (2014) – Le apparenze, le illusioni (e le menzogne) che ruotano attorno alla scomparsa di Amy Dunne.
  4. The Truman Show (1998) – La vita di Truman Burbank è semplicemente perfetta…finché non scopre che in realtà è un reality show orchestrato.
  5. Black Swan (2010) – Il film segue la discesa nella follia di una ballerina, esplorando la dualità e le apparenze nel mondo della danza.
  6. Shutter Island (2010) – Un thriller psicologico che esplora la percezione della realtà e le apparenze ingannevoli in un ospedale psichiatrico.
  7. The Talented Mr. Ripley (1999) – Il film segue un uomo che assume diverse identità per vivere una vita di lusso, esplorando l’inganno e la manipolazione.
  8. The Stepford Wives (2004) – Una commedia nera (di Frank Oz) che racconta di un gruppo di donne che sembrano perfette ma nascondono un oscuro segreto.
  9. The Prestige (2006) – La rivalità tra due maghi e le apparenze ingannevoli delle loro illusioni, raccontato con la maestria di Christopher Nolan.
  10. Fight Club (1999) – Un film che mette in discussione l’identità e l’apparenza, rivelando la vera natura dei personaggi principali. Da seguire fino alla fine, assolutamente.

Ma nel Cinema dedicato all’Apparenza, non può assolutamente mancare il mio film preferito:

Vertigo (1958) – Un thriller psicologico di Alfred Hitchcock che esplora l’inganno e le apparenze attraverso il personaggio di Scottie e la sua ossessione per una donna.

In quest’estate calda e torrida, proponiamo questa bella poesia di Umberto Saba, “Meriggio d’estate”, tratta dalla sua opera Il Canzoniere (1921), che ci richiama alla natura, alla pace e all’armonia ma, al contempo, ci riporta alle gravi problematiche dei cambiamenti climatici in corso.

Silenzio! Hanno chiuso le verdi
persiane delle case.
Non vogliono essere invase.
Troppe le fiamme
della tua gloria, o sole!
Bisbigliano appena
gli uccelli, poi tacciono, vinti
dal sonno. Sembrano estinti
gli uomini, tanto è ora pace
e silenzio… Quand’ecco da tutti
gli alberi un suono s’accorda,
un sibilo lungo che assorda,
che solo è così: le cicale.

Niente è come sembra, niente è come appare, perché niente è reale, così recita una famosa canzone di Franco Battiato. Cosa sia la realtà è un problema, forse il più antico, su cui i filosofi, tra realisti e anti-realisti, si arrovellano da oltre 2.500 anni. 

Sicuramente, dopo le rivoluzioni scientifiche del Seicento è prevalsa la visione scientista che ha portato ad una visione del mondo calcolante ed utilitaristica che vede l’uomo signore e padrone del mondo e la natura come un grande fondo da sfruttare. 

Qua nessuno è antiscientista e si riconoscono i grandi benefici apportati dalla ricerca scientifica all’umanità. Il problema è che non possiamo vedere il mondo solo con questa lente, quella dello sguardo scientifico. L’essere si dice in molti modi, la realtà non è unitaria e non si può pretendere di spiegarla nel solo modo scientifico.

Mi è capitato recentemente di imbattermi su un testo che parla della “brocca” (La questione della brocca, a cura di Andrea Pinotti. Mimesis, Milano 2007) che contiene saggi di diversi filosofi su questo oggetto. E’ interessante vedere come un normale oggetto quotidiano, il cui uso diamo per scontato, possa in realtà avere una sua “verita’” al di là della correttezza offerta dalla scienza fisica di un contenitore di liquidi, un sua “cosalità” che, oltre a un senso estetico può richiamare il suo apparire come portatrice di un dono. A riguardo, Heidegger, con un pensiero poetante, ci parla addirittura della “quadratura” che nel dono da versare o offrire, unisce cielo e terra, mortali e divini. 

Insomma, si possono guardare le cose in un altro modo e il mondo può essere visto con occhi diversi.

Questo ci porta direttamente al tema dell’apparenza che è la percezione sensibile di un fenomeno nella sua contrapposizione a una realtà e presunta verità. Ovviamente la nostra esperienza ci dice che c’è una realtà fuori di noi, di cui ovviamente siamo parte, ma autoevidente alla nostra coscienza, che è il mondo della vita quotidiana. Questo mondo, che ci è dato, secondo la tesi dei sociologi Berger e Luckmann, è costruito socialmente, frutto della cultura: la realtà come costruzione sociale.

Ovviamente con l’accelerazione della tecnica e l’avvento dei social network, questa costruzione sociale si è ulteriormente artificializzata e resa ancor più manipolabile, basandosi su processi di auto-socializzazione sempre più individualizzanti ed anomici, con una situazione che è sotto gli occhi di tutti. 

Anche le relazioni sono diventate virtuali e apparenti. Proprio l’altro giorno una persona si lamentava del fatto che il suo vicino di casa non gli avesse dato l’”amicizia” su Facebook, come se il “mezzo” o, meglio l’apparenza, fosse più importante della relazione quotidiana di chi ti vive nella porta accanto. Il che è emblematico della situazione che stiamo vivendo: ormai l’apparenza vale più della sostanza. Anche in Politica, la rappresentazione ha sostituito la rappresentanza.

Siamo oltre il problema filosofico, siamo alla mistificazione e alla mercé di chi vuole governare il consenso e, di chi è sottomesso, affidandosi o facendosi assorbire da queste false sirene. 

Per non parlare degli scenari che si aprono con l’Intelligenza Artificiale dove l’irrealtà rischia di diventare la realtà. Ci sarebbe così la chiusura del cerchio e la domanda sulla realtà diventa inutile.

Come per la brocca, c’è necessità di uno sguardo diverso, non dando per scontata la realtà che ci circonda ed avvolge. 

Insomma, problematizzare la quotidianità e superare l’ovvio con fantasia e senso critico, esattamente quello che ci siamo posti con Condi-visioni, che non a caso richiama i due termini di “condivisione” e “visioni”, uno sguardo plurale e critico sulla realtà che vorrebbe dare un seppur piccolo contributo alla riflessione.Chiudo sempre con Battiato, augurandovi una buona estate, On a solitary beach, magari in compagnia di un brocca con una buona e fresca bevanda di acqua, limone e menta, dissentante e disintossicante dalle apparenze della vita quotidiana  (probabilmente la reminescenza irriflessa a cui ho ceduto, di un vecchio slogan pubblicitario che recitava contro il logorio della vita moderna…).

Poniamo il caso che una mattina al risveglio, guardandovi allo specchio come tutte le altre mattine scopriste che il naso, quello che avete sempre pensato fosse perfettamente dritto, in realtà sia storto.
E no, non è uno scherzo del vostro specchio.
Questo potrebbe essere l’inizio di un’avventura surreale nel mondo delle apparenze, esattamente come accadde a Vitangelo Moscarda. Non che sia un cambiamento enorme come quello accaduto a Gregor Samsa di Kafka, che si risvegliò tramutato in scarafaggio, ma è una storia che vale la pena raccontare.
Vitangelo, affettuosamente detto Gengè, è il protagonista di “Uno, nessuno e centomila” di Luigi Pirandello.
Gengè vive una vita tranquilla finché un giorno sua moglie gli fa notare che il suo naso pende leggermente a destra. Questo piccolo commento innesca una crisi esistenziale. Gengè si rende conto che la percezione che ha di sé non corrisponde a quella degli altri. Se il suo naso, un elemento così evidente del suo volto, appare diverso agli occhi altrui, cos’altro potrebbe essere differente?

Bella domanda!

Gengè si rende conto di essere “uno” nella sua mente, “nessuno” perché la sua identità vera sfugge persino a lui, e “centomila” perché esiste in centomila modi diversi agli occhi di chi lo conosce. Ogni persona vede in lui una versione diversa, influenzata dalle proprie esperienze, pregiudizi e aspettative.

In effetti…quante volte vi siete trovati a comportarvi in modo diverso in base a chi avevate davanti? Con gli amici siamo spensierati e forse un po’ pazzi, al lavoro professionali e misurati, con la famiglia affettuosi e comprensivi. Questi “ruoli” che assumiamo sono come maschere che indossiamo per adattarci alle situazioni e alle aspettative altrui.

Nel mondo moderno, l’apparenza ha trovato poi un palcoscenico grandioso nei social media. Instagram, Facebook, o TikTok sono piattaforme dove condividiamo istanti perfettamente curati della nostra vita. Queste immagini e video, spesso filtrati e modificati, creano una versione idealizzata di noi stessi. È un po’ come se ciascuno di noi fosse il protagonista di una propria rappresentazione pirandelliana, in cui mostrare il lato migliore (o più divertente, o più drammatico).

Ma quanto ci avviciniamo alla nostra vera essenza quando siamo così presi nel costruire queste apparenze?
Vitangelo Moscarda, nel suo viaggio di scoperta, cerca disperatamente di liberarsi dalle immagini che gli altri hanno di lui. Vuole trovare il “vero” Gengè, nascosto sotto strati di percezioni e aspettative.
Un lavoro immane, ma forse può essere sufficiente essere consapevoli delle nostre “maschere” per cercare di capire chi siamo veramente, al di là di come gli altri ci vedono.

Io non so. 
Ed invidio chi sa.
Invidio chiunque abbia le risposte a tutto e a tutti, invidio chi sa esprimere un concetto, che davanti ai miei occhi appare imponderabile. Invidio chi sa armeggiare con destrezza parole e gestualità, chi sa attirare la tua attenzione, chi ti mostra sicurezza e capacità.

Invidio, sì.
Ma diffido, anche.
Diffido delle certezze e delle convinzioni, del pensiero che tende ad uniformarsi, delle prese di posizione, delle chiusure al dialogo, dell’ostruzionismo ad ogni confronto.
Probabilmente, questi, sono i giorni più difficili della nostra storia.
Ed in questo caos di incursioni che scaraventano le nostre menti e i nostri cuori, ci crocifiggiamo per la quasi impossibilità di riconoscere il falso dal vero, la sostanza dalla forma, l’apparenza dalla realtà.

(Immagine dal Web)

Siamo ormai, tutti, abituati ad indossare maschere, più o meno spontanee, più o meno costruite, più o meno necessarie alla fortificazione della nostra corazza, nel migliore dei casi, o alla volontà di costruire un inganno, nel peggiore dei casi.
E l’amore dov’è in tutto ciò? Dov’è il rispetto verso se stessi, verso la propria natura, verso il proprio essere?

Ho nostalgia di restare me stesso… Ho nostalgia di quei silenzi notturni, di quei fili di luci che filtravano da una serranda, ed io ci giocavo con le dita. Immaginando.

Ho nostalgia di quella quotidianità dipinta di naturalezza.

Dell’edicola e del profumo dei giornali.

Delle insegne che invitavano a sapori genuini.  

***

C’è di vero che non è vero niente
e non so perché mi affanno inutilmente
a cercare la ragione, se ragione in questo mondo non ce n’è…

(“Cosa c’è di vero”, Eduardo De Crescenzo, 1987)

Con l’esplosione dei mass media, e ancor più con i social networks ci ritroviamo a riflettere sulla questione dell’apparenza, su come la comunicazione venga strumentalizzata, le immagini ci mostrino realtà patinate, edulcorate o crude, ma sempre rappresentazioni parziali dell’intero, che formano un pensiero, un concetto, che a sua volta forma quello che siamo e come percepiamo e come ci rapportiamo a ciò che ci circonda. Questioni molto attuali viene da pensare, beh ma erano attuali, in un certo senso, anche nel V secolo a.C. per un signore di nome Platone, che nel libro VII della “Repubblica” ci introduce al Mito della Caverna, una potente allegoria sulla condizione umana e la conoscenza, ma anche di come l’apparenza delle cose a volte possa allontanarci da questa.

Platone descrive alcuni prigionieri incatenati fin dalla nascita in una caverna, costretti a guardare solo le ombre degli oggetti che si trovano alle loro spalle, ombre proiettate da un fuoco sulla parete che hanno difronte. Gli schiavi conoscono le ombre come unica realtà, perché non hanno mai potuto vedere gli oggetti che le generano. Un giorno, uno dei prigionieri riesce a liberarsi, scopre la fonte delle ombre e scappa via dalla caverna. Inizialmente è accecato dalla luce, ma gradualmente si abitua e realizza che il mondo esterno è molto più complesso rispetto alle ombre e così cambia anche la sua percezione del reale. Torna nella caverna per liberare gli altri, ma viene deriso, osteggiato, e infine ucciso, poiché gli altri prigionieri non riescono a cogliere una realtà diversa da quella delle ombre, né sentono il dovere di affrontare le difficoltà descritte per vedere la realtà nella sua interezza. Le ombre sono la loro realtà.

Il mito illustra il percorso dall’ignoranza alla conoscenza e la difficoltà di accettare nuove verità. Platone usa questa allegoria per spiegare la teoria delle idee e la distinzione tra il mondo sensibile e il mondo delle forme intelligibili.

Egli, dunque, ritiene che le apparenze (doxa) siano ingannevoli e che mascherino la vera natura delle Idee. Secondo lui, ciò che vediamo nel mondo sensibile è solo un’ombra della realtà perfetta e immutabile delle Idee a cui dovremmo tendere. Ma ve lo immaginate il suo disappunto difronte alle fake news o alle manipolazioni delle immagini o delle notizie? Forse, se il suo pensiero si fosse mai spinto fino ai giorni nostri, questo pensiero ci avrebbe voluti un po’ meno schiavi e un po’ meno ancorati alle mere proiezioni. E invece, mio caro Platone, siamo ancora nella caverna, però la caverna ora è ben arredata, abbiamo tanti magnifici schermi in cui creiamo volutamente delle ombre, ombre in 4k, ombre con risoluzioni magnifiche e alle quali associamo hashtag. Potremmo dire che c’è poco da opporsi alla natura umana.

Concordiamo tutti che l’apparenza gioca un ruolo cruciale nella comunicazione, influenzando percezioni, giudizi e interazioni. Naturalmente sono diversi i filosofi e i teorici che si sono spesi per affrontare il tema dell’apparenza e del giudizio. Un grande fil rouge interpretato a seconda della sensibilità intellettuale di ognuno.

Immanuel Kant ci parla di Fenomeni e Noumeni, distinguendo tra il mondo fenomenico (ciò che appare ai nostri sensi) e il mondo noumenico (la realtà in sé, che non può essere conosciuta direttamente). Le nostre percezioni sono mediate dalle categorie della mente umana. Questo ci introduce molto bene il mito del Velo di Maya di Schopenhauer: la realtà che percepiamo è solo una rappresentazione, il velo nasconde ai nostri occhi la vera essenza del mondo, ovvero l’apparenza che ci inganna, mascherando la verità.

L’ esistenzialista Sartre enfatizza la libertà individuale e l’autenticità. L’apparenza può essere una scelta consapevole, ma può anche portare a una “cattiva fede” (mauvaise foi) quando gli individui si nascondono dietro ruoli sociali e maschere e, parlando di maschere non possiamo non nominare Erving Goffman e la sua Prospettiva Drammaturgica. Goffman, sociologo canadese, analizzò la vita sociale attraverso la metafora del teatro. Nella sua opera “La vita quotidiana come rappresentazione” (1959), descrive come gli individui mettano in scena ruoli per gestire le impressioni altrui. Goffman sottolinea che la comunicazione si svolge sempre in un contesto fisico, sociale e culturale specifico. La comprensione della comunicazione richiede di considerare sia il microcontesto (la specifica situazione di interazione) sia il macrocontesto (il contesto più ampio e pluridimensionale). Goffman distingue tra “ribalta” (dove è presente un pubblico) e “retroscena” (luogo privato senza pubblico). Con le tecnologie moderne, la comunicazione può essere asincrona e despazializzata. L’atteggiamento dei partecipanti (favorevole, ostile, neutrale) e l’aspetto fisico possono influenzare la comunicazione. La struttura status-ruoli della società influenza le relazioni comunicative. Ogni individuo proietta una definizione della situazione. La comunicazione intra- e interculturale è influenzata dalle diverse culture e contesti di background.

Goffman sostiene che l’identità è composta da più strati e si forma continuamente nelle interazioni con gli altri. Gli individui presentano se stessi attraverso tre modalità principali:

Facciata personale: equipaggiamento espressivo, come l’abbigliamento e i tratti stabili (sesso, età, etnia).

Simboli di status: emblemi dello status sociale o professionale.

Ambientazione: lo scenario in cui avviene la comunicazione.

L’identità può essere confermata, rifiutata o disconfermata dagli altri, e il consolidamento dell’identità personale richiede la presenza di una struttura di plausibilità o consenso. Ma come viene guidato il giudizio degli altri? La psicologia e le scienze sociali ce lo spigano attraverso i bias cognitivi.

L’effetto alone (Halo effect) è un bias cognitivo in cui una caratteristica positiva di una persona (ad esempio, l’aspetto fisico) influisce positivamente su altre percezioni, come l’intelligenza o la competenza. Questo effetto può portare a giudizi superficiali e inaccurati.

L’ Effetto Pigmalione, collegato all’effetto alone, si riferisce al fenomeno per cui le aspettative di una persona influenzano le sue performance. Ad esempio, se un insegnante crede che un alunno sia particolarmente intelligente, è più probabile che quest’ultimo performi meglio.

I bias cognitivi sono scorciatoie mentali che il cervello utilizza per prendere decisioni rapide, questo può portare a errori di giudizio e interpretazione. Alcuni dei principali bias includono:

– Conferma: Tendiamo a cercare informazioni che confermano le nostre preesistenti convinzioni.

– Disponibilità: Valutiamo la probabilità di eventi in base alla facilità con cui possiamo ricordare esempi di tali eventi.

– Ancoraggio: Ci affidiamo troppo alla prima informazione ricevuta (l’ancora) quando prendiamo decisioni.

Il giudizio sugli altri, basato sull’apparenza, è profondamente influenzato dai bias cognitivi e dalle modalità di presentazione del sé. Goffman e altri filosofi ci offrono strumenti per comprendere come le apparenze e i contesti sociali influenzino le nostre interazioni. Riconoscere l’influenza dei bias cognitivi può aiutarci a migliorare la nostra capacità di giudizio e a sviluppare una comprensione più profonda e autentica degli altri.

Ad ognuno la sua scelta: se restare fermi ad osservare le ombre, dando loro il senso del tutto o se esporre i nostri occhi al dolore accecante e necessario per mettere a fuoco le figure che generano quelle ombre.

AUTODETERMINAZIONE E RINASCITA NEL NUOVO ROMANZO DI OLIVIA GOBETTI “LA DONNA DI VETRO” : EMILIA E IL SUO VIAGGIO VERSO LA LIBERTA’ E LA REALIZZAZIONE di Giovanna La Vecchia

Emilia è una donna intrappolata in un matrimonio soffocante e oppressivo che lentamente, anno dopo anno, le fa perdere la fiducia in sé stessa e la voglia di vivere. La donna di vetro (Edizioni del Roveto, pag. 272, euro 17.90, 2024) è il nuovo romanzo di Olivia Gobetti, un potente racconto di resilienza e determinazione, che offre una importante e profonda riflessione sulla forza interiore necessaria per affrontare le situazioni più complesse e dolorose della vita. 

Scrittrice, aforista e writing coach, Olivia Gobetti è romana di adozione. Nata a Brescia attualmente vive a Nettuno. Ha condotto programmi TV tra cui Sereno Variabile (RaiDue), con Osvaldo Bevilacqua, Sabato4 (Rete 4), oltre a diversi programmi radiofonici su RadioRai e Networks nazionali. La donna di vetro è il suo quinto libro. L’abbiamo incontrata per i nostri lettori conoscendo contemporaneamente due donne straordinarie, Olivia l’autrice ed Emilia la protagonista. Solitudine, silenzio, il crollo di tutte le certezze e sicurezze, la resa dei conti, la nuda e cruda realtà, la percezione che bisogna affrontare le proprie illusioni e farsi carico del senso di distruzione che opprime e annienta. La donna di vetro affronta tematiche drammatiche con un linguaggio schietto e diretto che rispecchia appieno Olivia Gobetti, donna solare, elegante ed empatica, con un sorriso che spazza via tutto, ripulisce in un attimo la via per far spazio al nuovo, al bello, all’estasi della rinascita e della riconquista di sé stessi. 

La donna di vetro è una storia che ne rappresenta migliaia purtroppo, tutte molto simili, con dinamiche e linguaggio molto familiari. Emilia, la protagonista, compie un viaggio molto complesso dentro di sé per giungere ad una rappresentazione di sé stessa e della realtà quanto più possibile vicino alla verità. Cosa o chi fa scattare in Emilia la capacità e la possibilità di affrontare tutto questo?

“Se, come si dice, “Nessun uomo è un’isola”, penso che “Nessuna donna ancora lontana dalla sua isola ideale, possa prendere in mano lo scettro della propria esistenza”.  Riconoscere il nostro percorso, accettandone le asperità, soprattutto queste, ci permette di lasciare alle spalle una vita poco compatibile con il nostro modo di vivere e sentire la vita. Emilia ‘sente’ quando l’approdo è a un passo: lo avverte nell’anima e, nel momento preciso in cui ne diventa consapevole, il cambiamento è già iniziato. E indietro non si può tornare. La sofferenza è tanta, le delusioni provate non si contano, ma una luce si sta facendo strada tra le lacrime, emerge dalle insicurezze, e infine trionfa sulla paura.

Come direbbe Raffaele Morelli, autore della prefazione, quando riconosciamo la nostra Itaca, togliamo tutti gli orpelli inutili e pesanti della vita, e respiriamo la brezza pura e incontaminata della nostra vera essenza”.

Il linguaggio adoperato nel romanzo è molto semplice, diretto, lineare ed efficace proprio perché non subisce filtri e non si nasconde dietro una facciata di insegnamenti e lezioni di vita. I dialoghi emozionano e colpiscono perché appartengono a molte donne, a molti uomini, a molte famiglie. Perché Emilia ed Edoardo appaiono così familiari e così vicini ad ogni lettore?

“Quando scrivo non uso filtri. Non lo faccio mai perché se racconto la vita, non posso e non voglio nascondermi dietro inutili pudori. Il lettore se ne accorgerebbe subito. La vita non è edulcorata, non chiede permesso aprendo una porta, né chiede scusa se ti offende. Io scrivo solo quando ho qualcosa da dire, e cerco di farlo senza tanti ‘girotondi di parole’. I personaggi di Emilia, Edoardo, ma anche Julian, Cloe, Marika e Simona, forse, in qualche modo, li abbiamo già conosciuti e sperimentati nelle nostre vite. Per questo ci appaiono tanto reali nelle loro grandi o piccole debolezze, nel modo di dar voce a pensieri e convinzioni, ma anche nelle scelte, corrette o meno.

Emilia e il marito Edoardo, pur nelle descrizioni e dialoghi più accesi, mantengono dialoghi verosimili. Quando ci appassioniamo a una storia, non è necessario sia tutto identico al nostro vissuto, quindi alle nostre esperienze dirette. Molto spesso, però, basta un paragrafo, se non un’unica frase, a farci sentire parte della narrazione. Credo sia questa la magia di un romanzo ben strutturato”.

Il dolore e la difficoltà di Cloe, la figlia di Emilia, spiegano molte problematiche sempre più diffuse nei ragazzi che tentano con le proprie forze ed i propri strumenti di resistere e di sopravvivere a due genitori in conflitto ed alla violenza che spesso caratterizza il loro quotidiano. Che mamma è Emilia?

“Emilia, come moltissime madri, pensa alla propria figlia come la parte migliore di sé. La osserva durante la fase della crescita con ammirazione, cerca di starle accanto per incoraggiare le sue scelte, ma anche per offrirle una spalla su cui piangere nei momenti in cui la vita si mostra poco generosa. Emilia si sentirà in colpa per aver offuscato l’orizzonte di Cloe con una visione distopica dell’amore. Ma qualcosa accadrà tra di loro, qualcosa in grado di offrire una nuova prospettiva di sé stesse e del loro rapporto”

Nella crisi matrimoniale ad un certo punto entra Julian, un nuovo amore che inizia virtualmente e che sembra per Emilia una rinascita ed una riconquista dei propri spazi e della propria libertà. A volte quella che sembra essere la salvezza è peggiore della condanna a restare cui una donna si sottopone. Forse l’appartenersi esclusivamente dovrebbe essere prioritario in una crisi matrimoniale e famigliare, dandosi un tempo di solitudine e di riflessione. Cosa ne pensa? 

Tutto ciò che ci attraversa, va vissuto. Così, nel modo più naturale possibile, senza pensarci troppo. Un amore nuovo arriva nel momento esatto in cui deve accadere. Non un attimo prima, né un attimo dopo.

Dobbiamo viverlo anche se sappiamo potrebbe farci male perché la passione, l’innamoramento, ci portano sempre a grandi evoluzioni, ci permettono di entrare in stretta connessione con noi stessi. Le emozioni provate ci trasformeranno nella parte più vera, quella trascurata da troppo tempo.

“L’Amore non si arrende, ma all’Amore ci si arrende.” Questo non è sinonimo di debolezza, ma tutto il contrario. Darsi senza limiti a un altro essere umano, è tra le esperienze più straordinarie della vita.

Quando un matrimonio o una convivenza hanno perso la strada del rispetto, è facile riconoscerci emotivamente in altre persone rispetto al proprio partner. Non è leggerezza, è dolore che cerca di respirare più forte per sopportare tutta la tensione prodotta. E’ vita alla ricerca di se stessa”.

Quando Emilia si sente male descrive in modo toccante “la sensazione di sentirsi completamente sola”, quel vuoto terrificante con cui ad un certo punto si impara a convivere. Ma si è veramente e completamente soli o ci si sente perché si ha paura di far vedere agli altri i nostri cambiamenti, che forse fanno paura addirittura a noi stessi e che temiamo? Forse bisognerebbe avere il coraggio di chiedere aiuto più spesso ed in un modo sincero e profondo. Cosa ne pensa? 

“Chiedere aiuto è fondamentale. Alle persone giuste, però… Emilia si appoggia con fiducia a un paio di amiche storiche, ma come riconoscere la sincerità nelle persone amate? L’amicizia al femminile prevede solidarietà e onestà in qualunque situazione? Nella storia se ne parla, e forse,si arriverà a una risposta in grado di fare chiarezza sull’argomento”.

“Le persone ci devono deludere a tal punto perché possiamo contare sui nostri talenti, perché il nostro percorso diventi nitido, essenziale?” scrive Raffaele Morelli nella prefazione a La donna di vetro. “Come Ulisse bisogna arrivare stranieri, sconosciuti, soli, per vedere la propria Itaca?” prosegue. Una immagine veramente potente e straordinaria che penso racchiuda tutto il significato del romanzo. Emilia è dunque come Ulisse e non come Penelope, è d’accordo? 

“La trasparenza di noi donne non è sinonimo di fragilità: sbaglia di grosso chi ci definisce ‘deboli’. Morelli parla di ‘spoliazione’, condizione necessaria per mettere in luce i talenti nascosti, le virtù di cui non eravamo consapevoli. Da Penelopi in perenne attesa, siamo in grado di trasformarci in tanti Ulisse alla ricerca della propria Itaca, pronte a difendere noi stesse e i nostri figli. Questo non significa rinunciare alla propria femminilità, significa non permettere più a nessuno di trattarci senza rispetto in nome di un amore ‘a chiacchiere’, non certo nella sostanza.

Proprio come suggerisce Alessandro Baricco in una bellissima intervista televisiva, impariamo l’arte di ‘lasciar andare’: cose, situazioni, persone.

Non perdiamo tempo a rincorrere chi ci lascia, a dare altre possibilità a persone non meritevoli, non buttiamo il nostro tempo prezioso con chi usa la violenza per riparare l’amore, smettiamo di regalare anni e anni a chi non perde occasione per farci sentire inadeguate o perennemente colpevoli di qualcosa. Lasciamo andare!”

Quanto conta ancora oggi nella nostra società il giudizio degli altri quando si affronta un matrimonio infelice e drammatico ed una separazione in un contesto di violenza? 

“Non ho mai amato il giudizio altrui. Soprattutto i classici matrimoni ‘di facciata’, tanto frequenti nello scorso secolo, ma che ancora sopravvivono in certe realtà del nostro Paese. I nostri nonni tenevano molto a ‘lavare i panni in casa’, oggi se un matrimonio si mostra disfunzionale, se la violenza verbale o fisica ne rappresenta l’essenza, dobbiamo parlarne.

Denunciamo anche quando pensiamo di essere sole in mezzo a un mondo ingrato, denunciamo anche quando in certi sorrisini ipocriti e di circostanza, leggiamo a chiare lettere: “In fondo, se lui ti picchia, è perché te lo sei meritato!” Denunciamo. Prima che sia troppo tardi. Per tutto”

La donna di vetro è un romanzo che contiene in sé infinite verità utili sia agli uomini che alle donne, anzi probabilmente i lettori dovrebbero essere in maggioranza uomini perché a volte riuscire a vedersi da fuori attraverso gli occhi di un altro, meglio ancora se donna, può essere un aiuto quasi terapeutico per un  uomo. Pensava di avere tutta questa attenzione da parte del pubblico maschile? 

“Sapere che questo romanzo viene letto con attenzione da molti uomini, è stata per me una notizia importante. Significa che sono in molti ad avere a cuore le proprie donne, a volere per loro il meglio, scoprendo attraverso questa storia i loro desideri, speranze, fragilità. E la loro forza. Questo ha acceso in me una piccola grande luce di speranza! Le persone belle esistono. E non sono poche. Guardiamoci attorno”.

“I mariti si conservano con lasagne e pompini” dice ad un certo punto del romanzo l’amica Marika, è una provocazione o c’è qualcosa di vero in questa affermazione? 

“Magari, alle lasagne, preferiscono una pasta alla carbonara…”

La donna di vetro è il suo quinto libro, come e quanto è maturata la sua scrittura ed i temi trattati in questi anni? Ci racconti il suo esordio. 

“In quel periodo, lavoravo come conduttrice a Rete 4 anche se, di tanto in tanto, scrivevo su alcuni settimanali dedicandomi alle interviste e agli argomenti legati al benessere. Un giorno, la mia agente mi disse di aver trovato una persona disposta a scrivere un libro per me. In pratica, io avrei firmato come autrice, e lei avrebbe lavorato come ‘ghost-writer’.

Rimasi senza parole e, a essere sincera, anche un po’ offesa da questa proposta inattesa. Risposi ringraziando e dicendole di avere già in testa l’idea per un romanzo. E quindi, non avrei avuto alcuna necessità di ricorrere a un aiuto esterno. Da quel giorno stesso, iniziai la scrittura del mio romanzo d’esordio. Dopo nove mesi esatti, nacque “Una Vita al Contrario”. La prefazione di Vittorio Feltri mi aiutò non poco a farmi conoscere come scrittrice, e per questo gli sarò sempre molto riconoscente”.

Scrittrice, giornalista, presentatrice, aforista, writing coach, madre di 4 figli, attualmente insegna scrittura immersiva, di cosa si tratta? 

“A un certo punto della mia vita, pur non smettendo di scrivere libri, ho sentito la necessità di condividere quel poco o tanto imparato dall’esperienza letteraria. Adesso seguo alcuni laboratori di “Scrittura Immersiva”. Si tratta dell’ultima frontiera della scrittura creativa, ancora più coinvolgente per il lettore che si sente parte integrante della storia, attraverso la percezione di tutto ciò che sta vivendo e percependo il protagonista. Ci sono strumenti a disposizione per rendere sempre più fluido, accattivante e originale il nostro stile. Se la lingua è in costante evoluzione, la scrittura segue di pari passo”.

Gassman, De Gregori, Gervaso, Morandi, Faletti e molti altri, tutti protagonisti indiscussi del panorama italiano e non solo, con cui ha avuto la possibilità di dialogare e di instaurare delle importanti amicizie. La sua è una carriera lunga e piena di spessore. Ci parli un po’ di questi incontri. 

“Da ragazza ero una giornalista entusiasta ma goffa sul modello ‘Bridget Jones’, per intenderci, anche se l’iconico personaggio in questione ancora non era stato inventato. L’intervista a Francesco De Gregori ai tempi de “ La Donna cannone”, “Rimmel”, “Generale”, quindi nel suo periodo di massimo splendore, andò davvero molto bene. Francesco si era mostrato disponibile, sorridente e generoso… peccato non avessi premuto il tasto ‘Rec’ per avviare la conversazione sul registratore a bobine.

Quel giorno, avrei voluto sotterrarmi e sparire nel nulla, giuro. L’indomani era prevista la messa in onda su RadioRai quindi decisi di rischiare un ‘Vaffa’ ben assestato dal famoso cantautore, tornando da lui con l’espressione di un condannato alla ghigliottina… Francesco si mise a ridere, aveva già capito tutto. Mi cinse le spalle rassicurandomi: “tranquilla, la rifacciamo meglio. Però, adesso, fammi premere il Rec!”

Tra i primi personaggi famosi intervistati, l’incontro con l’immenso Vittorio Gassman mi trovò come un pesce in una cristalleria. Nel camerino, al termine del suo spettacolo teatrale, respiravo male e mi guardavo attorno per evitare di inciampare in un tappeto o di rompere qualche vaso, fiori compresi. Gassman mi fece accomodare e, chissà perché, iniziò a parlarmi della famosa respirazione diaframmatica, tanto necessaria per gli attori e non solo…

Roberto Gervaso intervenne in modo significativo per aumentare il mio livello di autostima quando mi disse: “La tua intervista insieme a quella di Costanzo è stata la migliore di tutte!” Pensavo stesse scherzando, ma mi rassicurò fosse vero. La nostra amicizia, nel tempo si consolidò e lo ricordo quando, seduto nel suo studio, mi leggeva i suoi nuovi aforismi chiedendomi se potessero funzionare per un libro in uscita. Sentivo davvero tanta stima per me, forse non la meritavo ma mi aiutò non poco a crescere a livello professionale. Ps: devo a Roberto la mia passione perdurante per gli aforismi.

Morandi correndo venne ad aprirmi il cancello della villa (all’epoca abitava a Tor Lupara), mi portò in cucina e preparò la moka per il caffè.

Poi mi accompagnò nel salotto, si mise al piano e mi cantò le sue canzoni più belle. L’avrei sposato subito. Giuro”.

“Abbiamo paura di ciò che non conosciamo e spesso scegliamo di fare riferimento, di affidarci  a ciò che conosciamo anche se non è né rassicurante né piacevole” mi ha detto. Questo atteggiamento spesso conduce ad un epilogo drammatico, cosa si può dire o fare per far comprendere soprattutto alle giovani donne che non bisogna temere l’ignoto piuttosto bisogna scappare a volte da quelle che crediamo certezze e sicurezze. 

“Conosciuto o non conosciuto, in realtà quando si è molto giovani è facilissimo scivolare su decisioni o persone dall’aspetto affidabile. Spesso, capita d’incappare in relazioni sentimentali con un uomo dai tratti caratteriali simili al proprio padre. Anche se questo genitore non si è mostrato rispettoso e attento nei confronti di nostra madre. Questo perché il conosciuto è certo, anche se rappresenta un esempio negativo. I salti nel vuoto spaventano sempre un po’. L’unica soluzione è non smettere di parlare, di informare, di scrivere libri che possano chiarire queste tematiche. Io ci ho provato. E non smetterò di farlo”.

Emilia potrebbe tornare a raccontarsi in futuro in un suo nuovo romanzo? Probabilmente i lettori ne sarebbero molto contenti, perché Emilia è diventata un’amica per molti di noi. 

“Quello de“La Donna di Vetro” è il classico finale aperto. Chissà, mai dire mai!!!”

NASCE A ROMA “IL SIMBOLO” CASA EDITRICE DEL POETA MAURIZIO GREGORINI, FONDATORE E PROPRIETARIO. POESIA, NARRATIVA, SAGGISTICA DI TEMATICA SPIRITUALE IN UNA DIFFERENTE IDEA PER EVOCARE IL SENSO DI UN FASCINO POETICO.

Intervista a Maurizio Gregorini in libreria con la nuova opera “Ki. Segni dallo spirito” e la riedizione del romanzo “Neve e Sangue”.

“Inizia così il viaggio di nuove pagine dense di parole belle, contenuti intensi e sogni inafferrabili che, dalle pagine dei bei libri voleranno verso nuovi lettori. Voglio anche dire che i volumi sono curatissimi, le copertine affascinanti, la qualità della carta e dei caratteri di stampa di grande valore estetico. Perché la Bellezza inizia dallo sguardo e dal tatto per poi arrampicarsi lassù, in alto, dove si può. Anche se non si sa”  (Carla Vistarini, pagina Facebook commento sulla presentazione della casa editrice “Il Simbolo” Libreria Feltrinelli – Roma 10 aprile 2024)

Il poeta, giornalista e scrittore Maurizio Gregorini (Roma, 1962), torna nelle librerie con due nuove opere: “Ki. Segni dallo spirito” e “Neve e sangue” (il primo 167 pagine, 15,00 euro, è il suo nuovo libro di poesia, di cui è stata stampata una edizione privata fuori commercio, pagine 202; il secondo, un romanzo, 120 pagine, 15,00 euro, con prefazione del poeta Giorgio Ghiotti, è la riedizione – con aggiunta di racconti introvabili da anni – di un libro edito nel 2007), pubblicati dalla neonata editrice “Il Simbolo”, di cui è unico fondatore e proprietario. Gregorini è autore di poesie, racconti, romanzi, saggi. Ha pubblicato diversi volumi di poesia, alcuni con la prefazione di Dario Bellezza, Luca Canali, Livia De Stefani, Elio Pecora, Riccardo Reim. E’ stato responsabile della Terza Pagina di un quotidiano per oltre quindici anni, e per oltre trent’anni ha pubblicato articoli, interviste, saggi su periodici vari.

Tra il 1997 e il 1999 sui quotidiani “Giornale d’Italia” e “Italia sera” ha curato le rubriche “Inediti d’autore” e “Prova d’autore”, intere pagine monografiche di grande eco e successo in cui dava spazio e voce anche a giovani poeti (parecchie di queste voci sono confluite nel volume “La musica dell’inquietudine. 25 autori si raccontano”, Ianua 2002). Parte della sua produzione poetica è in “Vortici. Poesie per l’altro amore” (2002) che gli ha valso il “Premio Personalità Europea” (trentaduesima edizione), consegnatogli presso la Sala della Protomoteca del Campidoglio durante la “Giornata d’Europa”. E’ il curatore di “Poesie in diesis” (2002), opera poetica – postuma – di Livia De Stefani. Nel 1997 ha pubblicato “Morte di Bellezza” (Castelvecchi), riedito nel 2006 da Stampa Alternativa col titolo “Il male di Dario Bellezza”, vincitore del Premio Mangialibri nella categoria “Miglior rapporto qualità/prezzo del 2006”; nel 2016, sempre l’editrice Castelvecchi ne ha stampato una nuova edizione aggiornata. Nel 2009 Menico Caroli e Guido Harari hanno inserito una sua lunga intervista inedita nel volume “Mia Martini. L’ultima occasione per vivere”, mentre Gianluca Polastri ne ha inserita un’altra sulla poesia in “Festinalente. Il sogno di Ganimedia”, antologia di poesia Gay. Insieme all’attore poeta e regista Giangiacomo Ladisa ha pubblicato “Con gli occhi celesti. 20 anni di lavoro indipendente”. Luca Baldoni ha inserito un fascio di sue poesie nell’antologia “Le parole tra gli uomini” (2012), definendolo l’erede dell’asse poetica Penna-Pasolini-Bellezza. Nel 2012 viene pubblicato in America un’opera sul pittore Simon Dinnerstein, “The suspension of time. Reflections on Simon Dinnerstein and ‘The Fulbright Triptych’”, Milkweed Editions, dove è stato inserito un suo saggio, unico autore italiano invitato a parteciparvi. E’ stato autore e conduttore radiotevisivo (“Outing”, piattaforma 877 di Sky e Teleroma 56; “Un disco e un libro da comprare”, Teleradiostereo). Nel 2012 Radio Vaticana, nella proposta radiofonica “Pagine e foglie”, gli ha dedicato il programma “Storie”, condotto da Arianna De Gasperi. In occasione del trentennale della sua attività poetica, nell’ottobre 2017 Castelvecchi, nella collana ‘Cahiers’, ha mandato in libreria “Sigillo di spine. Le poesie” (opera omnia nonché edizione completa di tutti i libri di poesia editi, con aggiunta di inediti), che ha ottenuto il “Premio speciale della giuria” della III Edizione del Premio Letterario Internazionale “Antica Pyrgos”. Nel 2019 è stato inserito nel volume “Roman Poetry Festival. Quarant’anni dopo il Festival Internazionale dei Poeti” (Ponte Sisto Edizioni). 

Ki: Segni dallo spirito

– Gregorini, ci conosciamo da oltre trent’anni. L’idea di una casa editrice l’aveva in testa già anni or sono. Una attesa, la sua, che alla fine è divenuta una realtà: “Il Simbolo”. Mi parli di questa nuova attesa avventura…

“Cosa vuole sapere esattamente?” 

– Veda lei: per quale motivo l’ha fondata, cosa vuol dire essere un poeta e adesso altresì un editore, che tipo di pubblicazioni avrà la casa editrice, a che pubblico intende rivolgersi…

“Partiamo dall’ultimo interrogativo: penso che un autore non abbia mai in mente il tipo di pubblico da cui vorrebbe essere seguito, ossia letto; perlomeno io non ci ho mai pensato: lascio libero chicchessia di scegliere cosa leggere e cosa evitare non prestandogli interesse. Forse, in qualità di editore, ora il quesito dovrei pormelo, e invece no, non mi sfiora nemmeno l’idea di cercare un pubblico distinto per ciò che si editerà. Per il momento ho pubblicato il nuovo bel libro di poesia di Raffaella Belli e quello di Giorgio Ghiotti, anch’esso notevole. E’ appena stata editata l’opera omnia della Elsa de’ Giorgi, con cura e prefazione di Pecora, più la riedizione dei libri di poesia di Agostino Raff; infine, sta per uscire ‘Tutto il teatro’ di Elio Pecora, con prefazione e cura del bravo Marco Beltrame. Poi, si vedrà. Il motivo che mi ha spinto a realizzarla? Forse la stanchezza di avere relazioni con editori che se ne fregano poco di quel che vorresti fosse mandato alle stampe, e che non ti ascoltano quando auspicheresti evitare situazioni imbarazzanti, come ad esempio la scelta grafica di un libro, sia del corpo del carattere quanto della copertina, senza escludere che quasi mai nessuno di questi rimunera agli autori le royalties maturate, dunque, se debbo far guadagnare inutilmente e a scapito mio editori che a volte nemmeno apprezzano il tuo lavoro, è meglio mettersi in proprio, come del resto stanno facendo vari autori tramite autoproduzioni. Ma quel che davvero mi ha convinto a realizzarla, sebbene io goda della mia esperienza quasi quarantennale nel mondo dell’editoria, è l’aspirazione a rendere pubblici testi di autori che meritano e mi piacciono. Ovviamente, in alcuni casi e con degli autori, ci sono stati, ci saranno, anche i ‘no’, seppur dolenti: non posso pubblicare tutti, certo che decisioni simili non mi porteranno simpatie, ma che farci? Se un libro non mi piace e non ci credo, al di là delle possibili vendite, non lo edito. Insomma, una piccola casa editrice, di nicchia, che proponga testi di qualità. E’ un buon proposito, non crede? Debbo però qui ringraziare Fabio Capocci delle Edizioni Ponte Sisto e tutto il suo magnifico team, in particolare la grafica Daniela, che mi hanno permesso, sposandolo appieno, la totale realizzazione di questo sogno che rincorrevo da anni. Senza la complicità di Fabio Capocci, per il momento, non avrei mai potuto attuare un progetto – penso di buona caratteristica – come quello de ‘Il Simbolo’; è a tutti loro che va il mio grazie sincero e soprattutto affettuoso per avermi accolto nella loro famiglia editoriale”. E poi, l’attesa: conosciamo come ‘attendere’ significhi conservare uno stato d’animo nella sospensione di un tempo ampio in cui si realizzi qualcosa conforme alle proprie speranze. Ecco, come lei ben sa, ho atteso parecchi anni; ora però questo vecchio desiderio è divenuto realtà, e tuttora continuo a stupirmi di essere riuscito a concretizzarne il senso ma, lo ripeto, se non ci fosse stata la disponibilità e l’affetto di Fabio Capocci – che presto diverrà mio socio – tutto questo non sarebbe stato possibile”.  

– Ha presentato il suo progetto alla Feltrinelli di Roma. Ci saranno altre iniziative? 

“La presentazione della casa editrice ha avuto un ottimo riscontro. Con me c’erano Raffaella Belli, Elio Pecora e Giorgio Ghiotti, tutti entusiasti di queste edizioni. Per l’occasione si è spiegato come ‘Il simbolo’ non includerà soltanto libri di poesia o narrativa, ma soprattutto saggistica di tematica spirituale. Ci saranno anche occasioni di edizioni particolari, vedi la pubblicazione dell’opera omnia teatrale di Pecora, che trovavo andasse fatta, sia per rispetto dell’autore, sia per l’importanza che tali testi hanno avuto nel panorama teatrale italiano. A settembre pubblicherò il nuovo libro di Antonio Veneziani; nel frattempo sto valutando delle opere che mi sono state inviate da autori vari”.

– Lei non dava alle stampe opere dal 2017, ora esce contemporaneamente con due volumi. 

“Si riferisce a ‘Sigillo di spine’, l’opera omnia lirica licenziata da Castelvecchi. Quella è stata una occasione per unire ogni libro di poesia edita negli anni; inoltre festeggiava il trentennale dell’attività poetica. C’è da dire che, con lo scorrere degli anni, presumibilmente, anche la musa ispiratrice pretende i suoi tempi di riflessione. Inoltre quel lavoro specifico creava uno spartiacque tra una produzione poetica verso cui ho rispetto, ma che è – e resta – decisamente lontana dal mio ‘sentire’ odierno. La mia scrittura nel tempo è andata a variare di netto, non lo stile, ma gli argomenti che mi preme trattare in questo momento della mia vita. Non si può produrre un libro di poesia ogni due o tre anni, perlomeno non nel mio caso. Tanto più che gli argomenti trattati al presente volgono l’interesse verso l’incorporeo, la transitorietà dell’anima, la realtà dei mondi invisibili e, soprattutto, la morte fisica. Credo siano argomenti non facilmente commerciabili in poesia, che non possono essere editi come si trattasse di un banale libro d’amore. Prenda come esempio il ‘KI. Segni dallo spirito”: per arrivare al risultato ultimo, quello appunto di dominio pubblico, ci sono state ben tre edizioni private che mi hanno permesso di dedicarmi ad esso con maggiore attenzione e consapevolezza, proprio perché l’argomento proposto necessita – a parere mio – di una particolare decantazione intima”. 

– Crede dunque si tratti di un’opera portata a termine, conclusa?

“Chi può dirlo? Non sono mai certo di nulla. Ma come molti oramai sanno, è un libro dedicato alla morte di un amico, Monsignor Angelo Cordelli, deceduto a soli cinquantasette anni a causa di un cancro. E’ stata una esperienza sì dolorosa, ma poeticamente liberatoria, poiché mi ha permesso di rintracciare la via specifica di quel che ero intenzionato a trattare nei versi: l’immaterialità dell’anima. Non a caso per l’edizione pubblica ho scelto di inserire nella seconda e quarta di copertina, ossia le bandelle, la lettera che gli avevo scritto poco prima che morisse e che accompagna la prima edizione privata, datagli in dono affinché la vedesse e ne potesse fare omaggio ai suoi amici. Ho lavorato molto su questo testo, infatti nelle tre edizioni private – composte solo da due atti e non da tre – parecchie sono state le riflessioni e i ripensamenti su termini, vocaboli e impressioni. Considero le edizioni private il ‘lavoro in corso’ di un testo che, per il momento, m’appare risolto; per la ragione che l’evento della sua morte, per naturalità d’evento, si sta distanziando, e le emotività provate in quei mesi precedenti la sua fine, si stanno smarrendo nella memoria del tempo. Infine, era giunto il momento di dare un taglio al dolore, passando ad occuparmi di altro in fatto di scrittura. Capisco e mi rendo conto che si tratta di un volume curioso, di non semplice lettura; ma credo ciò sia dovuto al fatto che questa nuova poesia da me prodotta non abbia alcuna discendenza poetica. Come ha osservato acutamente Antonio Veneziani, è spiazzante, originale, con un uso di termini e parole anomali che ne struttura uno stile bizzarro, però entusiasmante (sono parole di Veneziani, non mie)”. 

– Come appendice al “KI” ha inserito “Serifos. Diario minimo”, anch’esso un testo edito privatamente in tiratura di cento copie.

“Nell’avvertenza al libriccino spiegavo in che modo, ritrovatomi ad esprimere nel linguaggio della prosa impulsi della mia quotidianità come mai accaduto in precedenza (di solito avviamenti del genere prendono parola in forma di versi; inoltre alla prosa dedico il mio impegno di giornalista e recensore di libri e dischi, ma ora che sono divenuto un editore, non più), mi sono azzardato a pubblicare sentimenti e annotazioni corsive nel mio profilo Facebook. E’ capitato che, leggendole, molte persone abbiano dimostrato di apprezzare queste brevi note e mi abbiano indotto a pensare che la sottilità di quei pensieri si dilatasse nell’animo dei lettori, imprevedibilmente, in larghezza di emozioni. E siccome in privato giungevano sollecitazioni a fare di queste note un libro, mi sono risolto ad editarlo in tiratura minima e fuori commercio sia per gli amici, sia per coloro che lo hanno apprezzato. Si tratta di un diario minimo scritto nell’isola di Serifos, Grecia, in giornate dove la scrittura del ‘KI’ ancora premeva dentro di me in cerca di un chiarimento decisivo. Ammetto come ogni scritto, per me, è sempre stato l’opportunità di attingere ad una verità agognata; cosicché il resoconto di quest’avventura in prosa costituisce il racconto di un ‘me’ recente, e rivela, anche senza la collaborazione della volontà, frammenti di poesia che la realtà ha nascosto in pieghe insospettabili della mia anima. Parimenti, credevo di aver terminato questo episodio, e invece l’anno seguente mi sono ritrovato di nuovo ad annotare frammenti di un sentire che probabilmente mi si presenta nella mente solo in quel luogo specifico, ossia una piccola casa in una frazione di Serifos, che si affaccia su una splendida chiesa bizantina del Mille. Lavorando a questi ultimi appunti, ho capito che la vicenda del ‘Diario minimo’ era il compimento del ‘KI’: non poteva essercene un altro, soprattutto perché in queste riflessioni quotidiane rimaneggiavo l’esperienza della morte di Angelo Cordelli. Per di più era un libriccino che amici e lettori continuavano a chiedere (la tiratura di cento esemplari si è esaurita nell’arco di due mesi). Così ho ritenuto opportuno – magari errando, chi può dirlo? – di inserire il testo come appendice al libro di versi: sia per compiacere tutti quelli che se ne sono mostrati entusiasti, sia perché si tratta di brevi note giornaliere quasi a chiusura dei tre atti che sono la struttura portante del libro. Vi ho anche infilato, sotto la dicitura ‘Arte poetica. Appunti per eventuali rime’, alcuni versi stralciati dal ‘KI’, quale umile esempio e sfida per giovani poeti di come può essere organizzata una singola poesia”. 

– Ma del ‘KI’ ne ha fatto però una ennesima edizione privata.

“Sì, settanta esemplari fuori commercio di oltre duecento pagine che sono testimonianza di come avrei voluto il libro fosse realizzato. E’ una edizione in cui è confluito l’intero materiale che ha articolato le tre edizioni private uscite tra il novembre del 2020 e il luglio del 2022, esemplari in cui mi è piaciuto inserire le frasi di apprezzamento dei lettori, varie fotografie, due appunti di Vincenza Fava, più una sua intervista, cara Giovanna, del gennaio 2022. Anche in ‘Serifos’ vi erano fotografie che scattai dell’isola. Ecco, nell’edizione pubblica, quella presente nelle librerie, sono stati omessi tutti questi materiali e alcune pagine intime del ‘Diario’, magari non di reale coinvolgimento per il lettore. Come dire che – a mio avviso – l’autore deve avere una distanza da quel che ha scritto e da ciò che poi intende divulgare nella correttezza ufficiale, tant’è che, come afferma il cantautore Faust’O, ciò va fatto ‘per non ritrovarsi indifesi davanti alla propria stessa penna’, anche se quel che è scritto è scritto, e nulla può mutarlo nella sua vera genesi’”. 

Neve e Sangue

– “Neve e sangue”: come mai si è deciso per una ristampa del romanzo? So che per anni se ne è disinteressato. In più vi ha aggiunto i racconti di “Lamento o tormento che sia” che nel 2001 Antonio Veneziani volle editare in una sua collana edita da Antonio Porta.

“Il romanzo uscì per le Edizioni del Cardo nel 2007. Di lì a qualche anno, anche questa bella piccola casa editrice, che aveva in catalogo titoli ‘ai margini’, fondata e diretta da Jean-Marie Pouget, terminò le pubblicazioni. Il romanzo breve non fu mai più ripubblicato, nemmeno presso altri editori, ed è vero come lei sostiene: ciò fu dovuto anche alla mia indifferenza. Negli anni numerosi lettori che mi seguono hanno mostrato interesse per il libro e mi hanno sollecitato a darne una ristampa; questa nuova edizione viene incontro innanzitutto al loro desiderio. Devo all’amico poeta Antonio Veneziani la mia produzione in prosa: fu lui a richiedermi brevi prose per una collana, ‘Scritture’, di cui Veneziani era direttore, pubblicata da Antonio Porta. I racconti, introvabili da tempo, uniti sotto il titolo ‘Lamento o tormento che sia’, uscirono per l’Editrice Ianua nel 2001; furono poi accolti in varie antologie e su alcuni quotidiani. Li ho aggiunti in questa nuova edizione come ‘hidden tracks’ per tutti coloro che vorrebbero avere la possibilità di leggerli”.  

– Perché ha atteso diciassette anni per una riedizione?

“Sebbene in sostanza coerenti sia col ‘romanzo breve’ sia coi ‘racconti’ aggiuntovi, la ristampa di questo libro è espressione di una parte di me che io ora avverto distante, remota negli anni della mia gioventù. Pur riconoscendo che forse la scrittura di ‘Neve e sangue’ andasse ‘aggiornata’, alla fine non me la sono sentita: mi sembrava di snaturarne la genuinità, di adulterare uno stato emotivo che di essa si era sostanziato e non poteva perciò essere modificabile. Lo stesso si dica dei racconti, riproposti qui nella loro redazione originale e non in quella edita nel 2001. E’ un testo scritto più di venticinque anni fa, quando prestare fede a certi meccanismi e situazioni, soprattutto omoerotici, era per me un credo e un entusiasmo vitale. Ahimè, non la penso più nello stesso modo di allora, e le confesso che alcune pagine sia del romanzo quanto dei racconti, mi disturbano. Chiederà allora la motivazione della riedizione: un vecchio amico mio, Sandro Brisotto, era già da qualche anno che mi tormentava amorevolmente nel confidarmi che, a parere suo, il romanzo andasse ristampato, soprattutto per la ragione – parole sue – che i tempi adesso erano maturi. A dire il vero non ho mai compreso del tutto cosa intendesse, in virtù del fatto che, ripeto, non assimilo cosa voglia significare ‘tempi maturi’. Forse si riferiva alla narrazione di un uomo maturo che intrattiene un rapporto sentimentale con un giovane ragazzo, tra l’altro sposato? O si riferiva al linguaggio da me utilizzato, spesso crudo, ma anche poeticamente suggestivo? Non mi sono ancora dato una risposta chiara, fatta sta che però debbo dargli ragione: dai primi commenti dei lettori e dalle vendite sembra sia un romanzo che coinvolge maggiormente il pubblico adesso e non quando apparve la prima volta. Nel recensirlo, quando uscì, Alessandro Dezi, sul mensile ‘Blu’, scrisse che si trattava di un ‘romanzo breve ai margini fra prosa e liricità, che racconta senza falsi pudori la catartica discesa nell’intimo di un’affettività fra diversi, destinata alla rovina, dimostrando che i sentimenti di casta non esistono’; Delia Vaccarello sull’Unità ebbe a commentare che parlavo d’amore come un poeta invaghito dalla predestinazione, tant’è che amore e morte, amore e dono estremo, divengono in questa storia, la celebrazione di una potenza di cui solo la natura può essere vestale; Gianfranco Franchi scrisse, ‘diviso in due episodi, questo romanzo è lirico, triste e sentimentale al pari di un disco di Antony & The Johnsons’, proseguendo che si tratta di uno scrigno di emozioni e di passioni vive; mentre Vincenza Fava sul quotidiano Italia Sera ammetteva che sì, ‘si tratta di un racconto sublimemente erotico, forse di natura autobiografica, che scuote le coscienze e i falsi perbenismi degli assennati benpensanti, certi, a torto loro, di non poter mai esperire l’amore diverso’, aggiungendovi che con questo testo ‘sono tornato alla romantica antinomia tra apollineo e dionisiaco, tra la vita dello spirito e la vita della carne, riuscendo però a superare la dialettica hegeliana degli opposti attraverso la perfetta sintesi di amore e morte’. Che dire di altro? Inutile negare che a me tutto questo faccia piacere, anche se tuttora non mi capacito di come io l’abbia elaborato: se dovessi scriverne un altro simile, non ne sarei capace. E come accaduto di recente col ‘KI’, sono certo che anche in quella occasione a venirmi in aiuto sono state anime incorporee. Lo so, lei mi prenderà per cretino, per imbecille, ma è ciò che penso e in cui credo fermamente”. 

– Dopo anni può dichiararlo: è un romanzo autobiografico? E poi il riferimento di Franchi ad Anthony… nelle sue opere c’è sempre spazio per la musica…

“Autobiografico: è così indispensabile saperlo? Giorgio Ghiotti nella prefazione ha annotato un particolare che mi piace: ‘Gregorini è un poeta e un narratore, non un poeta prestato alla prosa’, come sovente può accadere; e da prosatore faccio mie storie riferitemi da conoscenti, amici, immaginandomi come mi sarei comportato io in certe situazioni se queste fossero accadute a me. Sono uno che scruta, guarda, presta attenzione alle cose minime degli animi, ai sentimenti che il prossimo vive, sia con dolore, sia con gioia. Che la vicenda descritta sia di natura personale, poco importa; ma consento che quel che di autobiografico vi ho inserito è la descrizione della casa che abitavo in quegli anni, più nomi di amici intimi, reali, e poche situazioni accadutemi: la morte del mio cane, quella di mio padre, quella di Dodi Moscati e quella di un poeta amico. La musica? Sì, è uno spaccato significativo della vita mia, ne ascolto tantissima, anche per ventiquattrore al giorno. E al di là della motivazione che ne ascolto parecchia anche per scriverne, dato che, come sa, è pure il mio lavoro, la musica è per me fonte inesauribile di ispirazione. Se si presta attenzione e si legge accuratamente tra le righe, si avvertirà che in ‘Neve e sangue’ non c’è solo Anthony o i compositori moderni da me citati nella storia: c’è molto di Mia Martini, di Mina – della Mina di ‘Kyrie’, tanto per intenderci -, di Patty Pravo (ah! la splendida ‘Questo amore sbagliato’ scritta dalla mia amica Carla Vistarini), di Lou Reed, Schulze, Gabriel, Buffy Sainte-Marie, Mitchell, Nico e, perché no?, anche di Riccardo Fogli, il Fogli di ‘Mondo’, ‘Si alza grande nel cielo la mia voglia di te’, ‘Mondo fantastico’, della “The power of love” di Jennifer Rush ma nella versione di Nana Mouskouri; ma c’è anche il senso della tragedia datomi dai due bellissimi dischi di Irene Papas realizzati con Vangelis. Visto quanta abbondanza eterogenea? E sì, è proprio un libro scritto sulla musica che ascolto ripetutamente, ed è il potere della musica a scuotere in me emozioni, anche affettive”. 

– Di recente, dopo essere stato programmato in parecchie sale italiane, è andato su Sky Arte il docufilm “Bellezza Addio” a cui lei ha partecipato. 

“Si, un’ottima iniziativa per un docufilm realizzato davvero bene. Palmese e Giardina, i registi, sono stati capaci di catturare l’essenziale sia della poesia che della natura umana di Dario Bellezza”. 

– Il suo libro su Bellezza dovrà essere stato per questi due registi un testo fondamentale per capirne la personalità.

“E’ vero. Lo è stato. Di lì sono partiti per poi indagare a 360 gradi chi sia stato Bellezza, cosa ha prodotto e significato per una certa Italia colle sue opere, che tipo di lotta ha intrapreso per una certa rivendicazione di una identità omosessuale a cui però lo stesso Bellezza poco credeva, e soprattutto cosa sia stato l’avvento dell’AIDS negli anni Ottanta. Non a caso, sebbene conoscessi Dario dagli anni Ottanta, essendosi lui occupato anche della mia poetica, la mia partecipazione al docufilm è incentrata sulla malattia e sulla morte del poeta, avvenuta nel marzo del 1996. Alle loro ricerche ha contribuito lo studioso Marco Beltrame, che si è appena laureato con una tesi sul teatro di Bellezza. Ci auguriamo che, a ottant’anni dalla sua nascita (tra l’altro manco celebrata, ennesimo scandalo di una Italia che dei poeti non sa che farsene), il docufilm possa essere uno strumento per avvicinare i giovani ad un poeta celebrato ma forse poco compreso, soprattutto nel mondo editoriale nostrano”. 

LIBERAZIONE, VIBRAZIONE, ESISTENZA PURA E NOBILE: Alessandra Macrì ci accoglie nella sua narrativa e Greta ritorna più bambina che mai

Ironica, intelligente, solare, ma anche misteriosa, profonda, lontana quasi lunare. Così appare Alessandra Macrì durante l’intervista, instaura da subito una grande apertura, ha voglia di parlare, una esigenza, una necessità, una urgenza, tutto in Alessandra è urgenza ed emergenza proprio come il comportamento di una bambina, di quella sua donna-bambina che ha fatto conoscere così intimamente e apertamente nel suo romanzo Greta tace. Con disinvoltura e senza alcun freno, senza nessun filtro, Greta è entrata nelle nostre vite in maniera convulsiva e compulsiva, è diventata ossessione, dannazione, un bisogno irrinunciabile. Greta entra e non esce mai, chiunque l’abbia letta, conosciuta, incontrata non ne riesce più a fare a meno, non se ne libera, perché non se ne vuole liberare, perché Greta è un pezzetto di ognuno di noi, non importa se uomo o donna, ed è proprio quella parte essenziale per comprendere dinamiche, evoluzioni, passaggi esistenziali, emotività, debolezza e forza. Greta è quella parte di noi immortale, esiste al di là del tempo, oltre il tempo e le sue battaglie, è nel tempo e si sposta nel tempo, passato, presente, futuro, a volte confondendoli ma in ogni caso rendendo sempre tutto unico ed irripetibile. Straordinario romanzo di cui abbiamo deciso di parlare con l’autrice pur essendo stato pubblicato nel 2021, perchè il bello non ha mai un tempo predefinito e predestinato, esattamente come Greta. 

Condi-Visioni vuole uscire fuori da schemi prestabiliti e formali, volendo recuperare libri di valore, raccontandoli insieme all’autore, senza essere pressata dalle uscite del momento e senza legarsi a vicende necessariamente promozionali. 

Ringraziamo Alessandra Macrì che, in questo spirito e con questa visione, ci ha concesso l’intervista e ci ha fatto conoscere Greta. 

Lo ha definito “Il testo di una lanciatrice di coltelli”, immagine che coglie nel segno e ben rappresenta il suo ultimo romanzo “Greta tace”, perché tanta rabbia, un linguaggio feroce, frasi da cui si vorrebbe scappare via per paura che ci riguardino troppo da vicino e che raccontino anche la nostra storia?

“Ho pensato a come rispondere nel modo più sincero che posso. E quindi ammetto: non lo so. Questo libro è nato dall’amnesia di cosa si andava auto generando, come fossero altrettante parti di testo che emettevo come un’altra si libererebbe di spine, aculei e, appunto, coltelli. Disposti secondo geometrie caotiche, conficcati nelle carni. Armi di cui magari tuttora dispongo oppure l’esito di quel tipo di cadute da cui apparentemente esci illesa e invece il crepaccio era rivestito di rovi, lame, denti di fiere e qualche porcospino.

Greta tace è nato tra amnesie e ritorni. Ogni volta dovevo darmi a una ricerca abbastanza complicata dei file che ne occultavano le parti. Era una sola trama fatta a pezzi e protetta in nascondigli, ogni volta dovevo dimostrarmi la necessità di ripiombarci dentro innanzitutto recuperandola nel marasma del mio Mac.

Capitava che avvertissi l’urgenza di tornare alle vicende che io stessa avevo inventato così come torno ai libri di autori che poi finisco per amare. Sono disordinata nell’approcciare tutto quello che coincide con la parola amore.

Rispetto agli altri esempi che so, per averli vissuti, di questa parola, Greta tace si contrappone con la forza di un enigma. Fa diventare ideogramma, fonema, replica teatrale quello che di me vorrei non andasse perduto, e insieme impone la fuga”.

La “bimba” è la figura ricorrente nel romanzo, la bimba sotto diverse forme, “la bimba casa”, la “bimba bambola”, “la bambina eterna”, questa figlia rifiutata dal padre, non voluta, “era restata bambina per farsi volere”, la “prostituta bambina”. Quasi fosse una continua ossessione da cui non vuole liberarsi, o non può, cosa rappresenta questa bambina?

“Una forma perfetta. Non è immediatamente intuibile forse proprio alle lettrici, alle donne mosse dall’impulso di confrontarsi contrapponendo la propria alla forma di ogni altra femmina, un fatto che invece sospettavo mentre scrivevo imponendomi di non avere filtri. Il dolore ha la meglio su ogni altra percezione. Puoi piacere a tutti, e a tutti essere estranea.

Greta ha il dono/dannazione di una sensualità potente. Seduce al netto di malizia, incapace di premeditazione. Scatena desiderio mentre è impegnata a cercare tutt’altro.

Proprio come i bambini, non condivide intenzioni e obiettivi degli ambienti che abita.

Il suo è un destino da sequestrata dalla stessa materia che la compone.

Questa contraddizione fra cosa sente e cosa di lei vede l’intorno, è un presupposto letterario che m’è sembrato irrinunciabile. Gregor Samsa si trasforma in orrido insetto manifestando il destino che ha rimuginato nell’assenza di ogni sentimento che vorremmo ascrivere all’umano. Viene aggredito a colpi di bastone persino dal padre. Greta è la figlia capitata al modo di un’immagine di cui non ti puoi disfare. Espone a suo padre l’irreversibile quando acerba e tenera come non potrebbe essere la Lolita di Nabokov, se ne va a farsi scomparire gli arti in una piscina d’acqua salsobromoiodica in cui scompaiono le deformità di individui con handicap gravi, e gravi malattie dermatologiche. Quando Greta inizia a percepirsi identica ai mal nati, la forma ibrida che ha assunto, da non ancora adolescente, qualcosa di anteriore pure alla ninfa, vieta al padre di abbandonarla. Dopo aver trascorso l’intera infanzia della ragazzina dandosi a tutte le fughe ipotizzabili, mal digerendo ogni ritorno a casa, quando attorno agli undici anni Greta inizia a cercare i modi per levarsi dal mondo, lui inizia a regalarle i peluche che si regalerebbero a una bimba di due. Indietro di tutte le puntate della vita della figlia, per la prima volta la vede.

Greta non fa altro che adottare quel primo sguardo della prima volta che il padre l’ha guardata”.

Altre tematiche ricorrenti sono il teatro, il rapporto con il cibo, la chirurgia estetica, il corpo, canoni estetici non necessariamente di bellezza ma che rappresentano una gabbia, una prigione, un’altra ossessione. Quindi la finzione, l’apparenza, la rappresentazione. Sembra quasi ci sia un bisogno di fuga da un mondo reale oppure un rifiuto. 

“È arduo scrivere d’amore se lo si vuole riferire a cosa sta nelle possibilità dei maschi. Sono fra quelli che annuiscono quando con i suoi personaggi più credibili Michel Houellebecq sostiene che per gli uomini l’amore per una donna non è altro che  desiderio. Mi interessava scrivere di una giovane donna che ne è consapevole. Una che si riconosce solo nel preciso istante in cui un maschio inizia a perdere lucidità potendola toccare. Mi interessava Greta fosse una lente del maschile. Quando mi chiedono se Greta mi somigli, qualcuno l’ha persino sovrapposta alle immagini di me che ci sono in rete, realizzo che sono riuscita a farla scomparire, così come lei voleva, nella bramosia dei maschi. “Non c’era da attirare il desiderio. Il desiderio era in colei che lo provocava o non esisteva. C’era fin dal primo sguardo o non era mai esistito”, chiarisce ne L’amante Marguerite Duras. Non m’è particolarmente simpatica, eppure l’ho accontentata. E mi sono messa a indagare la forma di nutrimento che sostituisce ogni altro cibo: l’ossessione. La liberazione sessuale ha indotto diversi gradi di confusione riguardo il concetto di emancipazione. Trovo interessante partecipare delle fantasie dei desideranti solo se il desiderio è scoppiato in mania. Essere la sola che può appagare. Il corpo perennemente evocato. Il titolo che avevo scelto è La favorita. Avrebbe chiarito in modo già abbastanza plateale la vocazione teatrale di Greta (è puro istinto a una drammaturgia insostenibile ciò che anima codesto io narrante), e con la sua, chissà, anche la mia”.

Anche il rapporto con la madre e con il padre appare un altro ambito in cui Greta si addentra per farsi ulteriormente del male, sembra impossibile che una protagonista così piccola fisicamente possa reggere tutto questo mondo e questa storia che quasi è impossibile da far entrare dentro, Greta è così esile perché rifiuta tutto e tutti?

“Il dolore ha la meglio su ogni altra percezione. Una madre dovrebbe forse addirittura farsi nutrimento senza interruzioni. Dovrebbe mantenere i connotati della prole, nella forma che dà l’appagamento perfetto. Certe bocche che affiorano come un miracolo sul volto delle bambole meravigliose. Greta non ha alternative al digiuno. Percorre estatica territori che le resteranno estranei, si dà a figuri che si comportano con l’estraneità di Meursault – lei è la nausea che nella canicola, a riva, fa di Meursault un assassino – sa che non è passibile di evoluzione la sua storia”.

La struttura del romanzo è davvero singolare, si può cadere in confusione nel momento in cui lo si legge quasi fossero dei racconti e non un romanzo. Come nasce questo tipo di impostazione?

“La struttura di un romanzo dipende dalla quantità di oggetti che avverti reali, come tu li potessi toccare, sul corpo della pagina. Ho fatto a pezzi la trama disseminandola di manufatti. Scrivere è fabbricare sedie, tavoli. Compongono uno spazio che ha una sola combinazione possibile. Così come c’è una sola parola fra le molte a cui potrebbe accedere lo scrittore per dire con l’efficacia del punteruolo cui accennavamo, cosa sente e quello di cui si fa tramite, così esiste una sola struttura capace di trasmettere il marasma che lo sequestra.

Mania marasma ossessione. Parrebbe che la scrittura coincida col desiderio nelle uniche accezioni in cui lo so concepire.

Gli oggetti che mi reclamavano alla narrazione sono simboli.

Disegnano la ragnatela dentro cui mi auguro si perdano i miei lettori”.

Sembra voler mettere alla prova l’attenzione del lettore, come a volerlo a tutti i costi e tutto per sé, non sono concesse distrazioni nella lettura di Greta tace, né pause, né esitazioni. Lei è uno scrittore esigente non solo verso sé stessa ma nei confronti dei lettori.

“Ho bisogno di emozionarmi leggendo. A maggior ragione se si tratta di pagine che vengono da me. Il libro deve diventare tutto il mondo che c’è. La ragnatela di Aracne”.

“Non è poi così male restare senza prospettive ad 11 anni” è una frase terribile ma che può essere pronunciata solo da una donna forte, cresciuta sotto i bombardamenti, i comportamenti degli esseri umani malati, perversi, patologici, crudeli e maledetti.

“O da una persona che non ha potuto permettersi l’incoscienza dell’infanzia.

Avessi tutti lettori come lei!

In effetti questo l’ho detto io, e non il mio io narrante”.

Roberto, Giulio, Stefano, tutte figure maschili deviate ed in qualche modo pericolose, Greta porta in sé il concetto di morte qualunque cosa faccia e sceglie quasi chirurgicamente i suoi uomini, però a me non dà l’impressione che Greta sia una vittima, credo che lei voglia tutto quello che le capita perché le dà potere e dannazione e lei non può vivere senza.

“Questo accesso alla mania altrui, ciò da cui si fa percorrere come un malanno terminale. Dispone di due strumenti che sono l’inganno sublime del femminino: il corpo e il silenzio”.

Greta si concede completamente agli uomini, tutti i suoi bisogni sono “un uomo”, uomini che le danno tutto tranne la possibilità di essere sé stessa, Greta ipnotizza, così come la scrittura con cui viene rappresentata. Come nasce questo personaggio così complesso, irrisolto ed interrotto?

“C’è in tutti i romanzi che amo, anche di autori contemporanei, violenza che trascende le proprie intenzioni. Ciò che accade fregandosene di chi ne farà le spese leggendo, ma soprattutto di chi ha permesso si manifestasse. Energia magmatica, insiste a pretendere sé stessa. Il corpo di Greta è alimentato da forze del tutto simili”.

“Ogni volta che fingi di non avere fame ti stai consegnando alla fame di un altro”, ancora una frase molto forte che fa riferimento al cibo ma il cui significato è ben più profondo e drammatico. Perché correre il pericolo di consegnarsi “alla fame di un altro”.

“Per avere accesso al suo segreto. La fame predispone al delirio. Riorganizza le parti che ci compongono attorno all’istinto di sopravvivenza. Ci fa bestie. Arcaiche e smisurate”.

Perché “restare bambina per farsi volere”?

“Sono faccende interrelate. Restare digiuni per consegnarsi non al nemico, non al carnefice, ma esanimi e feroci alla fame di un altro. Come i bambini, che non opponendosi per mancanza di prove a sfavore dell’altro, si affidano. Ciechi.

La diffidenza è pelame scomposto, fa ruvidi e respingenti i lineamenti di esseri altrimenti puri. Avrei voluto arrivare alla fine dei miei giorni ignorando la necessità di difendermi. Anche su questo punto ho accontentato Greta. Lei se lo è potuta permettere”.

Oggi le adolescenti, ma anche in parte le donne, si sentono come qualcuno di perfettamente sostituibile, vivono tutto senza dramma ma anche senza intensità, esattamente l’opposto di ciò che fa Greta. Come hanno accolto Greta tace le donne, soprattutto quelle più giovani?

“Alcune sono corse ai ripari. E come capita spesso, sono partite dalla cura del corpo. Qualcuna si è rivolta al chirurgo plastico, al personal trainer. Altre hanno fatto pulizia in armadi zeppi di vesti scelte per caso, di contatti inutili in chat. Le giovanissime hanno preso questo libro come talismano, viatico a rapimenti sensuali, a stravolgimenti di meccaniche e incastri che oramai si assumono su Google come si trattasse di un medicinale da ingollare ai pasti, scorrendone distrattamente il libretto delle istruzioni. Greta tace suggerisce che morire una sola volta consegnandosi alla passione, non basta. Per fortuna non ho mai creduto di voler insegnare qualcosa”.

Nel romanzo vengono raccontate immagini molto forti, a volte tali da farvenire crampi allo stomaco, vertigini, stordimento, la narrazione a sfondo sessuale passa in secondo piano perché ciò che predomina è questo senso claustrofobico di eccesso o privazione, manca sempre la sensazione di equilibrio e questo crea terrore. Era questo che voleva Alessandra Macrì?

“Alessandra compare al centro del romanzo facendo strame di Greta. Dice la morte che potrebbe lei qualora fosse un filo esagerato morire per amore. Altro equilibrio non so immaginare. Eccedo allenandomi, a 11 anni ho intravisto la pista di “La lunga marcia” al posto di tutte le strade. Non mi sembra di essermi fermata. Se contassi i chilometri percorsi finora, crampi un po’ ovunque e mancamenti verrebbero a me. Eccedo nella lettura. Negli incubi. Nel tempo destinato a cause perse. Mi auguro di averne davanti moltissimo”.

In questo romanzo sembra non ci siano sentimenti, tutto accade, tutto avviene, tutto si srotola continuamente sotto i piedi e questi piedi sembrano non poggiare mai a terra. Però Greta di sentimento ne ha tantissimo sin da piccola ma questo sentimento l’ha sempre spezzata e l’ha sempre consegnata a qualcuno o a qualcosa. Cosa mi dice in proposito?

“Ha a che fare con la questione della predisposizione agli eccessi. Se uno fa cose  smisurate, sente in modo smisurato. Però credo che parlare d’amore sia attività da terapeuti o uomini di fede. Una qualsiasi. Mi limito a constatare l’amore che tiene in piedi la mia ricerca. Di Greta so solo che non avrebbe potuto fare altrimenti”.

Sappiamo che sta scrivendo già il suo prossimo romanzo “Attraverso i miei passi”, può anticipare qualcosa per i nostri lettori?

“Stavolta do voce a una che tendo a proteggere. Si chiama Lara. Mi mette a fare i conti con un sentimento di impotenza atroce. Mi induce picchi di malinconia che mi stanno rovinando i giorni. Non è un buon nascondiglio questo nuovo romanzo. Espone ferite, soffitti scrostati. Mi chiedo cosa ne sarà della realtà che calpesto, quando smetterò di farlo”.

Greta tornerà?

“È già tornata in un romanzo di fantascienza esistenzialista, l’ho interrotto per dedicarmi a Lara. In realtà Greta non è mai andata via come ha correttamente notato lei nella introduzione a questa intervista, per cui vorrei ringraziare Condi-Visioni perché tornando a parlare del romanzo Greta tace edito nel 2021, ha saputo cogliere il significato che dovrebbe essere dato ad un testo indipendentemente dalla data di nascita, dalla sua diffusione, dalla sua presentazione, soprattutto in questa nostra epoca, unico momento storico in cui lo spirito, in nessuna forma, ha più alcuna importanza. Un buon testo esiste se continua a far esplodere la sua energia, oltre il materialismo ed oltre un eccesso di concretezza e di contingenza. Questo dovrebbe essere il giusto orientamento della critica letteraria, per il riconoscimento, la valutazione e la scelta dei testi da far conoscere e da diffondere, ripeto, indipendentemente dalla data di pubblicazione”.

The perceived risk of the underlying asset influences the perceived risk of the derivative. Forward contracts in India are primarily used for currency hedging, where businesses lock in future exchange rates to manage foreign exchange (forex) risks. In case of a default, the seller will pay the buyer the face value of the asset. Therefore, it is risky to trade in the derivatives market without proper hedging mechanisms. The Chicago Board of Trade is now called the Chicago Mercantile Exchange, with more than 19 million contracts traded daily on it last year. Clay tokens have morphed into highly leveraged futures contracts, but there are still farmers looking to reduce their risk and speculators with an appetite for it.

Derivatives also can often be purchased on margin, which means traders use borrowed funds to purchase them. In summary, derivatives can be great tools in a portfolio, however, they require extra attention and a good understanding of risk management. In any case, the significance of the derivatives market is undeniable – not only because of its size but also, perhaps most importantly, because of its importance to the financial system altogether. Since they are optional contracts, as their name suggests, the holder can exercise this right or not, depending on what’s more beneficial to them.

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For example, the owner of a stock buys a put option on that stock to protect their portfolio against a decline in the price of the stock. Hedgers aim to limit potential losses, while speculators aim to maximize potential gains with lower investment. He enters a forward contract with a sugar mill to sell sugarcane at ₹3,500 per ton in 6 months.

The most common types of derivatives, stock options and commodity futures, are probably things you’ve heard about but may not know exactly how they work. Derivatives are financial instruments like equity and bonds, in the form of a contract that derives its value from the performance and price movement of the underlying entity. This underlying entity could be anything like an asset, index, commodities, currency, or interest rate—each example of the derivative states the topic, the relevant reasons, and additional comments as needed. Swaps can also be constructed to exchange currency risk or the risk of default on a loan or cash flows from other business activities. Swaps related to the cash flows and potential defaults of mortgage bonds are an extremely popular derivative. It was the counterparty risk of swaps like this that eventually spiraled into the credit crisis of 2008.

The Power of Leverage

Derivatives can also help investors leverage their positions, such as by buying equities through stock financial derivatives examples options rather than shares. ​​Financial derivatives are contracts whose value is derived from the underlying asset. Hedgers and speculators widely use these contracts to take advantage of market volatility.

Navigating Derivative Trading Options

  • Investors can take advantage of the liquidity by offsetting their contracts when needed.
  • While they are complex tools that require more market expertise and research, they can make significant differences in many investment strategies.
  • Fixed income derivatives may have a call price, which signifies the price at which an issuer can convert a security.
  • These financial instruments can be traded, but they don’t provide direct ownership of the underlying assets.
  • Leveraging through options works especially well in volatile markets.

Exchange rate risk is the threat that the value of the EUR will increase in relation to the USD. If this happens, any profits the investor realizes upon selling the stock become less valuable when they’re converted back into EUR. They are complex financial instruments with multiple applications, from risk management to speculation. Together with equity and debt, derivatives form a third important category of financial tools that can be used by experienced investors to handle their portfolios. “Derivatives aren’t for beginner or casual investors. Because they are essentially bets, Wall Street does a very good job of making sure they are accurately priced,” notes Rogovy.

The purchaser’s profit or loss is the difference between the spot price at the time of delivery and the forward or future price. Futures are standardized contracts that trade on exchanges, while forwards are non-standard, trading OTC. For derivatives, leverage refers to the opportunity to control a sizable contract value with a relatively small amount of money. Leveraging through options works especially well in volatile markets. When the price of the underlying asset moves significantly and in a favorable direction, options magnify this movement.

Decoding RBI’s Payment System Report 2024: Trends & Insights

Traders may use derivatives to access specific markets and trade different assets. The most common underlying assets for derivatives are stocks, bonds, commodities, currencies, interest rates, and market indexes. Contract values depend on changes in the prices of the underlying asset—the primary instrument. That said, some derivatives like options are increasingly making their way into the mainstream for individual investors.

B. Put Option – Right to Sell

When you buy a share of stock, you buy the same share as everyone else. You have the same right to earnings and the same vote as everyone else in your share class. Check out our guide—Level Up Your Investing Strategy—to elevate your approach and maximize returns.

  • They are a famous type of exchange-traded derivative and therefore have less risk.
  • Speculation is a strategy where investors buy a type of asset like derivatives and bet that the price will shift in their favor in the future.
  • However, if prices move against them, the hedge is in place to limit their loss.
  • Because this intermediary exists, these kinds of derivatives offer much lower risk compared to their OTC counterparts.
  • In any case, the significance of the derivatives market is undeniable – not only because of its size but also, perhaps most importantly, because of its importance to the financial system altogether.

Derivatives can be bought and sold on almost any capital market asset class, such as equities, fixed income, commodities, foreign exchange and even cryptocurrencies. Let us consider a vanilla swap where there are two parties involved – where one party pays a flexible interest rate, and the other pays a fixed interest rate. Derivatives can be used to mitigate risk or to assume risk in the hope of achieving a reward. Regardless of your goal as an investor, derivatives come with potential downsides, including complexity, supply and demand factors, and vulnerability to market sentiment. Imagine that Company XYZ borrows $1,000,000 and pays a variable interest rate on the loan that’s currently 6%. XYZ may be concerned about rising interest rates that will increase the costs of this loan or encountering a lender that’s reluctant to extend more credit while the company has this variable-rate risk.

Cash or physical assets, such as money, stocks, bonds, or commodities, cannot be considered derivatives themselves. Derivatives derive their value from these underlying assets, but they are separate financial instruments that are based on contracts and not the assets themselves. A futures contract, or simply futures, is an agreement between two parties for the purchase and delivery of an asset at an agreed-upon price at a future date. Traders use futures to hedge their risk or speculate on the price of an underlying asset. The parties involved are obligated to fulfill a commitment to buy or sell the underlying asset.

RBI actively manages the rupee’s exchange rate by buying or selling forward contracts in the market. RBI’s Buy-Sell/ Sell-Buy Swap Contracts are Used to manage India’s forex reserves efficiently. For example, if a commodity’s exchange margin is set at 5%, the leverage is 20 times.

When you are purchasing a “ Put option,” you are actually foreseeing conditions where the market or the underlying stock will go down, i.e., you are bearish over the stock. So, since you make a purchase of MSFT.O stock at $126, and you see it declining, you can actually sell the option at the same price. Swaps are another common type of derivatives, often used to exchange one kind of cash flow for another. For example, a trader might use an interest rate swap to switch from a variable-rate loan to a fixed-rate one, or vice versa.

Futures are a type of derivatives contract where the buyer and seller enter into an agreement to fix the quantity and price of the asset. The agreement has the quantity, price and date of the transaction mentioned. Upon entering into the contract, the buyer and seller are obligated to fulfil their duty regardless of the asset’s current market price. However, the main purpose is to fix the price of the asset against volatility. Futures contracts are standardized contracts that allow the holder of the contract to buy or sell the respective underlying asset at an agreed price on a specific date. The parties involved in a futures contract not only possess the right but also are under the obligation to carry out the contract as agreed.

Through the contracts, the exchange determines an expiration date, settlement process, and lot size, and specifically states the underlying instruments on which the derivatives can be created. Swaps are derivative contracts that involve two holders, or parties to the contract, to exchange financial obligations. Interest rate swaps are the most common swaps contracts entered into by investors. They are traded over the counter, because of the need for swaps contracts to be customizable to suit the needs and requirements of both parties involved. For example, say that on Nov. 6, 2025, Company A buys a futures contract for oil at a price of $62.22 per barrel that expires Dec. 19, 2025. The company does this because it needs oil in December and is concerned that the price will rise before the company needs to buy.

Buying an oil futures contract hedges the company’s risk because the seller is obligated to deliver oil to Company A for $62.22 per barrel once the contract expires. Company A can accept delivery of the oil from the seller of the futures contract, but if it no longer needs the oil, it can also sell the contract before expiration and keep the profits. To buy this right, the holder has to pay a price, commonly known as the premium payment. Many options are exchange-traded derivatives, but there are over-the-counter ones as well.

The seller hopes that they can collect enough premiums to offset the times they do end up having to pay for a default, while the buyer reduces their overall risk, despite losing some return due to the premiums. Futures contracts don’t have the same type of inherent leverage as the stock option example above but are often traded in highly leveraged transactions on commodity and futures exchanges. That means that if you buy $50,000 of stock using margin, you have to use $25,000 of your own cash. But remember, this means that if the price of the underlying asset falls by just 3%, you’ll be wiped out. Forwards are financial contracts between two parties that agree to buy or sell an asset at a specified price (the forward price) on a future date (the delivery date). Options are financial derivatives that give the holder the right, but not the obligation, to buy (call option) or sell (put option) an underlying asset at a predetermined price within a specified time period.