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‘La Coerenza’ Category

Coerenza: s.f., fedeltà di una persona ai propri principi, conformità costante tra le sue parole e le sue azioni. E’ questa la definizione di coerenza sul vocabolario, un termine a cui collettivamente si dà un significato positivo. Soprattutto se paragonato al suo contrario: l’incoerenza. Nell’immaginario collettivo, la coerenza è una qualità positiva, caratteristica delle persone affidabili, ma anche prevedibili. In alcuni casi, la coerenza può diventare persino un’ossessione, però, una sorta di trappola che non consente di modificare il proprio pensiero per il timore di risultare incoerenti. Per dirla con Oscar Wilde, “la coerenza è l’ultimo rifugio delle persone prive di immaginazione”. Ecco, quindi, che la coerenza appare come un concetto ampio e fluido, che segue inevitabilmente l’evoluzione e il cambiamento di ciascuno di noi, sotto l’influenza di esperienze che ti cambiano. L’incoerenza rispetto a un precedente “schema mentale” non è pertanto un dato negativo, quanto il frutto di un percorso di maturazione dell’io. 

Un soggetto difficilmente riuscirà a essere coerente per tutta la sua vita. Ciò in cui credevo a 18 anni, appena finito il liceo, sulle relazioni umane, sull’orientamento politico, non è quello in cui mi identifico oggi. Per questo dovrei essere considerata incoerente? No. Sebbene siano rimasti fissi alcuni punti cardine sul comportamento da adottare relazionandomi con gli altri, l’esperienza e la maturità mi hanno insegnato a ponderare bene le scelte, a reagire meno d’impulso e più con la testa per non essere fagocitata in un mare di squali. Tenendo, però, a mente il principio di non essere uno squalo. In questo caso specifico, la coerenza è strettamente legata al concetto di morale. Un discorso analogo sulla coerenza degli ideali può essere fatto sulle scelte politiche, che possono essere modificate a volte per la deriva del partito politico in cui ci si identificava e/o per un mutato scenario della società e dei fatti storici. In definitiva, la coerenza a tutti i costi o un cambio di idee altalenante sono degli estremi da evitare, nel limite del possibile, ma non cambiare idea è innaturale. Come dicevano i latini “Est modus in rebus” (C’è una misura nelle cose)!

In un universo dove tutto vibra, pulsa, ondeggia e scintilla, la coerenza è quel raro miracolo fisico che riesce a mettere d’accordo le onde come se fossero l’equipaggio perfettamente addestrato dell’Enterprise. Niente a che vedere con il caos quotidiano, dove ognuno va per conto proprio: qui si parla di ordine, di fase, di armonia.

La coerenza è la differenza tra rumore bianco e sinfonia cosmica, tra un temporale improvviso e una nota tenuta da un coro di fotoni disciplinati. Prendiamo il laser, per esempio, non il blaster di Han Solo, ma il vero raggio di luce coerente, dove tutti i fotoni sono in fase, viaggiano nella stessa direzione, con la stessa energia: una sorta di marcia imperiale fotonica, forse anche più precisa.

Grazie proprio a questa coerenza possiamo fare cose straordinarie: tagliare l’acciaio con precisione chirurgica, correggere la vista, oppure misurare le impercettibili increspature dello spaziotempo causate da collisioni tra buchi neri.

In Toscana, a Cascina, c’è un “orecchio cosmico” chiamato VIRGO: un gigantesco interferometro laser capace di rilevare variazioni di lunghezza più piccole di un protone. Un’impresa resa possibile da fasci di luce coerenti, precisi come un’orchestra guidata
da un direttore inflessibile.

Ma cosa ascolta davvero VIRGO? Le onde gravitazionali, ovvero i “boati” cosmici generati da eventi catastrofici come fusioni tra buchi neri, collisioni di stelle di neutroni, esplosioni di supernove o addirittura dal ronzio primordiale del Big Bang. Queste onde increspano il tessuto dello spaziotempo e viaggiano per miliardi di anni fino a noi. È come se l’universo parlasse… e noi avessimo appena imparato ad ascoltarlo.

A proposito di musica: lo sapevi che il Sole suona? Certo non su FM, ovviamente, ma emette oscillazioni coerenti, onde di pressione che rimbalzano al suo interno come vibrazioni in una cassa armonica. Gli astrofisici le studiano con l’eliosismologia, decifrando queste “note” per esplorare l’interno della nostra stella. È una sorta di ecografia stellare… ma in Do maggiore.

E poi ci sono i maser cosmici: segnali naturali di microonde perfettamente coerenti, generati spontaneamente da nubi molecolari o dalle atmosfere di alcune stelle. L’universo, a volte, costruisce da sé i suoi laboratori, produce dispositivi naturali a microonde e li punta verso di noi. È come se ci mandasse messaggi in codice Morse, ma su scala galattica.

Il vero capolavoro di coerenza, però, è l’eco stesso del Big Bang: la radiazione cosmica di fondo. Un debole ma costante segnale a microonde che permea tutto lo spazio e conserva minuscole increspature coerenti, quelle stesse che, crescendo nel tempo, hanno dato origine a tutto ciò che vediamo oggi: galassie, stelle, pianeti, meme di gatti… ah no! Quelli li creiamo noi, che comunque siamo frutto di quella coerente increspatura.

La coerenza è il filo invisibile che cuce la stoffa dell’universo. Quando c’è, tutto vibra all’unisono. Quando manca, le onde si scontrano, si cancellano,
producono rumore. Ma quando funziona… succede la magia: l’universo canta. E noi siamo una delle sue sinfonie.

La coerenza è un valore oppure no? In linea di massima siamo tutti d’accordo che tenere fedeltà ai propri principi e valori e mettere in pratica ciò che si pensa con come si vive, sia un valore. Il detto popolare “predica bene ma razzola male” è illuminante sul significato che comunemente si attribuisce al concetto di coerenza.

Coerenza significa essere una persona affidabile, da cui ci si può aspettare sempre un certo tipo di comportamento, che non contraddice quanto si è fatto e detto in precedenza o il pensiero rispetto all’azione pratica. 

L’etimologia dal latino cŏhaerĕo, essere attaccato, congiunto, unito, sta a significare nella parola coerenza, qualcosa che richiede compattezza e connessione nel tempo e nello spazio.

Occorre considerare però la variabile tempo: non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume, è l’aforisma eracliteo che fin dal V secolo prima di Cristo rappresenta la mutevolezza delle cose. L’acqua del fiume che scorre non è la stessa che ci ha bagnato prima e anche noi probabilmente non siamo gli stessi di prima. Le cose cambiano e con esse i nostri stati d’animo, i nostri pensieri e le nostre stesse idee.

Nel mondo odierno tutto accade in modo accelerato mediante gli strumenti tecnici di comunicazione, che in una modalità repentina e veloce hanno la forza di mutare la natura delle cose o di farcele vedere diversamente. Anche la dimensione della coerenza ne viene modificata perché posso scoprire cose diverse e cambiare le mie idee, potendo entrare in contatto immediatamente con una pluralità di mondi e punti di vista o conformarmi sotto la pressione del pensiero dominante.

Il grande sociologo Zygmunt Bauman ci ha insegnato che la società della modernità contemporanea è liquida e instabile, rispetto a quelle del passato, votata alla fluidità e caratterizzata dalle volubilità individuali. Ne consegue che in questo quadro è anche difficile mantenere una certa coerenza che prima veniva “garantita” dalla tradizione e da norme stabili.

Se da un lato ciò può essere positivo, perché significa maggiore flessibilità, possibilità di punti di vista diversi e pluralità di idee che contribuiscono ad una vita meno cristallizzata e più dinamica, aperta a cambiamenti e possibilità, dall’altro, anche una maggiore instabilità e possibile perdita di senso per mancanza di punti di riferimento. 

Come affermava Aristotele, il maestro di color che sanno, la virtù è il giusto mezzo come disposizione abituale di ciascuno di noi, un giusto equilibrio nella ricerca individuale. La coerenza è una virtù purché non si trasformi in pervicacia e ostacoli la nostra crescita personale.

Con la fine delle ideologie, l’atomizzazione sociale e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, in particolare i social, questa mutevolezza della società si è rispecchiata anche nella politica, dove la coerenza non è più una virtù ma un inseguire il popolo “mitizzato”. Siamo ormai abituati alle giravolte o al tradimento di quanto viene dichiarato nelle campagne elettorali per venire poi regolarmente disatteso quando si governa e alle discrepanze tra il dire e il fare.

La ricerca ossessionata del consenso rende la coerenza un ostacolo che vincola la libertà di movimento per inseguire le mode, i desideri o i mal di pancia del momento. Non si governa più per un perseguimento di una strategia a lungo termine ma con i sondaggi e le esigenze prettamente elettorali, quando invece la politica dovrebbe guidare ed educare. Non a caso Platone voleva governanti-filosofi o filosofi-governanti ma, sarebbero sufficienti onestà, impegno morale e coerenza, 

Mahatma Gandhi offre una visione profonda della coerenza, particolarmente rilevante in ambito politico. Per lui, essere coerenti non significa ripetere sempre le stesse azioni o restare legati a dogmi immutabili, ma rimanere fedeli ai principi fondamentali, come la verità e la non violenza, anche quando le circostanze cambiano. In un articolo pubblicato su Young India nel 1929, Gandhi scrive: “Lo sviluppo costante è la legge della vita, e un uomo che cerca sempre di mantenere i suoi dogmi per sembrare coerente, si mette in una posizione falsa.”

Il 26 giugno 2025 è escito il videoclip ufficiale della personale interpretazione del brano “Chi tene ‘o mare” del cantautore romano Davide Mottola. Un omaggio rispettoso e viscerale a Pino Daniele, ma anche molto di più: una dichiarazione sensibile, poetica e profonda su cosa significhi “avere il mare dentro”.

Link: https://www.youtube.com/watch?v=f1bMtPMYef4

In un tempo in cui la sensibilità sembra una debolezza e la purezza interiore un ostacolo, Davide Mottola sceglie di cantare “Chi tene ‘o mare” non solo come tributo a un classico intramontabile della musica italiana, ma come atto di resistenza emotiva. Perché “chi tene o mare”, oggi, è chi custodisce dentro di sé un mondo fragile, potente e ribelle.

La sua versione del brano – intensa, intima, attraversata da un’urgenza autentica – parla del mare come simbolo dell’inquietudine, della forza gentile, della bellezza che cerca ancora di non soccombere. Il mare non è solo acqua e orizzonte: è l’universo interiore di chi sente tutto troppo, di chi non si arrende all’indifferenza, di chi continua a emozionarsi, a cadere e a rialzarsi. È la metafora di chi combatte ogni giorno per restare umano in un mondo che anestetizza.

Con la regia evocativa del videoclip (dal 26 giugno sul canale ufficiale della Long Digital Playing, etichetta discografica dell’artista), Davide Mottola ci accompagna in un viaggio in cui l’ascolto diventa riconoscimento. Un invito silenzioso ma potente a guardare dentro di sé, a ritrovare quel mare che ognuno di noi – anche se dimenticato, anche se ferito – ancora custodisce.

“Chi tene o mare” non è solo chi guarda lontano: è chi porta dentro la profondità e la tempesta. È chi sa che la sensibilità è una forma di coraggio. È chi canta per restare vivo.

Humanity must go on

La vita ha uno scopo ma non un senso. Esiste, cioè, unicamente per perpetuare sé stessa. Sono solo due, infatti, le ragioni per le quali mettiamo al mondo dei figli: illuderci di eternare noi stessi e garantire la sopravvivenza della specie, a qualunque costo. 

A proposito di costo: qualcuno ha mai riflettuto sul fatto che sarà proprio questo assurdo imperativo categorico a cancellare il genere umano dalla faccia della Terra? Continuando di questo passo, non è facile dire chi perirà prima tra l’umanità (sostantivo: dell’aggettivo è rimasto ben poco) e il Pianeta. Solo una cosa è certa: accadrà più presto di quanto immaginiamo.

un nulla finito in balia di un nulla infinito

Per parafrasare un celebre motto dello showbusiness, dunque: “Humanity must go on”. Ma è tutto qui. Non c’è altro. L’umanità non è altro che un nulla finito, in balia di un nulla infinito: quell’insieme di 2mila miliardi (secondo le stime più recenti) di galassie, che chiamiamo “Universo osservabile”. 

La Terra? Meno di un pallido puntino azzurro

Supponendo che la superficie dell’Universo osservabile sia misurabile e che questa misura possa essere rappresentata dal numero 100, la superficie della Terra sarebbe pari a 0,000000000000000000000000000000000000021. (Gli zeri dopo la virgola sono 37). Infinitamente più piccola di quel “pallido puntino azzurro” di cui parlava Carl Sagan, commentando come la Terra appariva nella foto scattata dai margini del Sistema Solare (circa 6 miliardi di chilometri da qui) dalla sonda Voyager 1, il 14 febbraio 1990.

La vita dell’uomo? Un nano-lampo, in una notte senza fine

Se la superficie della Terra corrisponde a uno zero virgola 37 zeri di quella dell’Universo, rispetto ai 13,8 miliardi di anni di vita dell’Universo, la vita media di un essere umano (73 anni, secondo l’ONU) è circa un 5 miliardesimo del tempo cosmico. Praticamente un nano-lampo, in una notte senza fine. Come dicevo: un nulla finito, in balia di un nulla infinito.

L’Universo non sa nemmeno che esistiamo

Non solo: l’Universo – osservabile e no – non sa nemmeno che esistiamo. Aveva ragione il Leopardi delle Operette Morali: «Se io vi diletto o vi benefico – dice la Natura all’Islandese – io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose o non fo quelle tali azioni per dilettarvi o giovarvi». E, ancora: «Se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei».

Una lacrima di zebra

Verità che riecheggia in “Questions for the Angels” (“Domande per gli angeli”) di Paul Simon: «Se ogni essere umano sul pianeta e tutti gli edifici dovessero svanire, una zebra che pascola nella savana africana se ne preoccuperebbe al punto di versare una sola lacrima di zebra?».

La risposta, ahimè, è no. Se l’intero genere umano scomparisse dalla faccia della Terra, non verrebbe versata nemmeno una lacrima di zebra. Né di nessun altro essere vivente.

Nessuno, a parte noi, se ne accorgerebbe. Nessuno, a parte noi, ne soffrirebbe. Come scrive Don De Lillo: «Siamo la forma più elevata di vita sulla terra, eppure ineffabilmente tristi, perché sappiamo ciò che nessun altro animale sa, ovvero che dobbiamo morire».

Impotenti nel nascere, nel vivere, nel morire

Solo noi, dunque, sappiamo che esistiamo. Questa è la triste verità. Ma ci sono tre verità ancora più tristi. La prima è che siamo totalmente impotenti. Impotenti nel venire al mondo. Impotenti nel lasciarlo. E, nel 99,9% dei casi, impotenti persino nell’abitarlo. 

Impotenti che si credono potenti

La seconda è che siamo folli. Pur essendo impotenti, infatti, ci crediamo potenti. Per nascondere ai nostri occhi il fatto che la nostra volontà di potenza non è altro che un’illusione, siamo costretti a rendere ancora più impotenti gli altri. È per questo che, da che mondo è mondo, ogni scusa – Dio, potere, oro, patria, razza, civiltà… – è buona per sbranarci a vicenda, convinti (altra illusione!) che “bere il sangue del nemico” ci renderà invincibili. La verità è che impotenti siamo e impotenti rimaniamo. E nessuno di noi, «per quanto si preoccupi, può allungare, anche di poco, la propria vita» (Matteo, 6,27).

Rafting spericolato, insensato, inutile, letale

C’è un fine, dunque, ma non un senso. La differenza è enorme. E la terza verità – forse la più triste di tutte – è che non ci importa nulla di trovarlo né di provare a vedere se ci riesce di dargliene uno noi.

La nostra non è vita: è rafting. Un rafting spericolato, insensato, inutile e letale. Ci tuffiamo tra le rapide, aggrappati a uno straccio di materassino, con l’unico scopo di arrivare vivi alla foce del fiume. Vivi, cioè, all’appuntamento con la morte

Non solo: precipitiamo giù così velocemente, che non facciamo nemmeno in tempo a capire cosa succede. Non sappiamo chi siamo, che ci facciamo su quello straccio di materassino, perché lottiamo per non schiantarci su qualche roccia o affogare tra le rapide, dove diavolo stiamo andando e perché. 

L’unica vera differenza tra chi arriva in fondo e chi non ce la fa è che chi non ce la fa muore prima. Ignari gli uni, ignari gli altri. Dite la verità: non sembra folle anche a voi? 

Perché ci buttiamo a capofitto tra le rapide? Chi ce lo ha ordinato? Dio? La patria? La famiglia? La nostra avidità? Il medico?

“È la vita”? Balle

“È la vita!”, dicono. Balle. Mai sentita stronzata più grande. Dove l’hanno letta? E quando sarebbe stato redatto questo fantomatico “Codice Vitale”, che contiene tutte norme da osservare per vivere la vita come “dev’essere davvero vissuta”? 

E chi l’ha scritto? Di certo non il Dio delle tre religioni del Libro! Non mi risulta, infatti, che la Bibbia prescriva a che età uomini e donne debbano cominciare a lavorare, per quante ore al giorno, con quale paga, a quanti giorni di ferie abbiano diritto, quanti di malattia, quanti di licenza matrimoniale, quanti per una gravidanza, quanti per l’assistenza a famigliari/genitori malati, quanto valgano lavoro notturno e festivo, festività non godute e soppresse, se ci si debba sposare (e a quale età) o no, quanti figli si debbano/possano avere, a che età si possa andare in pensione, se si abbia diritto al servizio sanitario, all’assicurazione sul lavoro, all’istruzione, alla formazione professionale permanente e bla, bla, bla, bla…

Dio non c’entra: è colpa nostra

E, ammesso e non concesso, che l’ispiratore di questo fantomatico e famigerato Codice sia stato davvero Dio, direi che, più che qualche ritocchino qua e là, quel Codice l’abbiamo stravolto completamente. Lui ci aveva lasciato solo 10 comandamenti, i nostri codici, invece, contano milioni di articoli per centinaia di migliaia di norme: numero che aumenta ogni giorno di più. E, dato che ci siamo sempre ben guardati da rispettare il suo decalogo, per non mancargli di rispetto due volte, ci guardiamo bene dal rispettare anche le nostre leggi.
Morale: nessuno ci ha imposto di fare questa vita. L’abbiamo voluta così noi. Se c’è qualcuno da incolpare per questo disastro, dunque, non è lui: siamo noi. Del resto, cos’altro avrebbe potuto partorire una mente folle come la nostra, se non questa folle follia?

Un successo travolgente ha suggellato il Memorial Morricone, tenutosi il 6 luglio all’Auditorium della Conciliazione di Roma. In occasione del quinto anniversario della scomparsa del Maestro Ennio Morricone, l’evento organizzato da Federcori Lazio, presieduto da Luigi Ferrante, ha visto la sala gremita in ogni ordine di posto e un pubblico entusiasta, culminato in lunghi applausi, richieste di bis e un’atmosfera di profonda commozione.

Il concerto ha rappresentato un intenso e raffinato omaggio al genio morriconiano, con l’esecuzione di alcune delle sue colonne sonore più iconiche: The Mission, Il segreto del Sahara, Giù la testa, C’era una volta in America e molte altre.

Sul palco si sono esibiti circa 200 interpreti, tra cui un coro di oltre 100 voci selezionate tra le migliori formazioni romane federate a Federcori Lazio – Chorus Inside Lazio, e l’Orchestra Xylon, composta da 50 musicisti professionisti, diretta dal M° Paolo Matteucci, figura di rilievo internazionale.

A impreziosire la serata, la presenza di artisti di grande talento, tra cui la cantante Viviana Ullo, la pianista Licia Missori, il primo violino Andrea Paoletti, il cornista Stefano Berluti, il trombettista Sergio Vitale, il flautista Lorenzo Corsi e Danilo Paludi, baritono solista nel brano Mosè.

Fondamentale è stato il contributo dei Maestri preparatori dei cori coinvolti: Michele Josia, Dina Guetti e Gianluca Buratti, che hanno garantito un livello artistico di assoluta eccellenza.

Il Presidente di Federcori Lazio, Luigi Ferrante, ha sottolineato: «Il Memorial Morricone è stato uno dei più importanti eventi sinfonico-corali dell’anno a Roma. Con circa 150 coristi, 50 orchestrali ed eccellenti maestri preparatori, Federcori Lazio ha dimostrato grande forza organizzativa e valore artistico, rappresentando oggi ben 178 cori. Mettere insieme professionisti e cantori di dieci diverse realtà romane è stata una sfida vinta, che conferma il mondo corale amatoriale capace di realizzare eventi di alto livello e impatto culturale.»

Il M° Paolo Matteucci ha dichiarato: «Il Memorial Morricone è stato un evento straordinario che ha dimostrato come la musica del Maestro possa unire ed emozionare un pubblico di ogni età e preparazione, dagli esperti agli appassionati, dalle famiglie con bambini fino ai più grandi cultori. Ho avuto l’onore e l’orgoglio di dirigere un ensemble di circa 200 artisti, tra orchestra e coro, tutti animati dalla stessa passione per un repertorio che è patrimonio universale. La qualità degli interpreti, arricchita dall’eccellente contributo dei solisti, ha reso il concerto un’esperienza unica, capace di trasmettere l’anima e la magia delle colonne sonore di Ennio Morricone a un pubblico vasto e variegato.»

Tra gli ospiti d’onore, numerosi giornalisti. Tra il pubblico si sono distinti ospiti di rilievo, tra cui alte cariche del Vaticano, dirigenti imprenditoriali e rinomati direttori d’orchestra e di coro.

Il Memorial Morricone 2025 si è confermato come un evento di altissimo profilo culturale, capace di unire istituzioni, artisti e pubblico sotto il segno della grande musica italiana.

La foto è stata gentilmente concessa dalla signora Palma Navarrino.

Il mondo attuale è sempre più “liquido” e cambia ad una velocità vertiginosa, eppure c’è qualcosa che, più di ogni altra cosa, resta come un faro nella tempesta: la coerenza.

Essere coerenti infatti non significa semplicemente ripetere se stessi, ma rimanere fedeli ad un principio, ad un’idea, ad una visione del mondo, anche quando conviene poco, anche quando è scomodo.

               “ La coerenza è il coraggio di restare fedeli a ciò in cui si crede,
anche quando tutto ci spinge a voltare le spalle. ”

Può forse sembrare un atto di eroismo pure, in un tempo in cui l’opinione sembra possa cambiare a ogni scroll sullo schermo, ma c’è da essere consapevoli che questa è una sensazione. I social media ci espongono a giudizi continui, e a volte essere coerenti può portare all’isolamento, all’incomprensione, persino al “fallimento”. Ma la coerenza è anche ciò che dà senso alle nostre parole, struttura alla nostra identità, dignità alle nostre scelte. È ciò che ci permette, guardandoci allo specchio, di riconoscerci.

E anche questo “mondo” può sembrarci “unico nel suo genere”, vorrei sottolineare che la coerenza ha avuto le sue stelle polari – al plurale – anche nella Storia, che hanno difeso i propri principi senza seguire la “convenienza” né tantomeno lo spirito di “uniformarsi” alle persone o al “comune sentire” di quel periodo storico.

Mahatma Gandhi, ad esempio, è un simbolo di coerenza nella lotta per l’indipendenza dell’India attraverso la non-violenza.

Nonostante le numerose provocazioni e difficoltà, Gandhi rimase fedele ai suoi principi di “ahimsa” (non-violenza) e “satyagraha” (la forza della verità). La sua coerenza non solo ispirò milioni di persone in India, ma divenne un faro di speranza per i movimenti di libertà in tutto il mondo.

Un altro esempio è Nelson Mandela, che dedicò la sua vita alla lotta contro l’apartheid in Sudafrica. Nonostante 27 anni di prigionia, Mandela non abbandonò mai il suo impegno per la giustizia e l’uguaglianza. La sua coerenza nel perseguire la riconciliazione nazionale, invece della vendetta, è un esempio straordinario di come i principi possano guidare le azioni anche nelle circostanze più difficili.

Avrebbero potuto vendicarsi delle angherie subite e delle sofferenze, ma hanno preferito incarnare fino in fondo i principi che li ispiravano.

Anche più indietro nel tempo con Socrate che bevve la cicuta pur di non rinnegare il proprio pensiero, e Giordano Bruno che preferì il rogo all’abiura o Rosa Parks che restando seduta in quell’autobus diviso tra bianchi e neri è stata coerente con un’idea di giustizia che non aveva ancora trovato spazio nel suo Paese.

Il coraggio di seguire i propri ideali, il proprio pensiero fino all’estremo sacrificio in alcuni casi o iniziando una battaglia legale lunghissima.

Principi e idee, ma anche azioni, perché la prima cosa del “coraggio di seguire i propri principi” è quello di praticarli, di mostrarli nelle proprie azioni.

             “ Stai attento ai tuoi pensieri, perché diventeranno le tue parole.
Stai attento alle tue parole, perché diventeranno le tue azioni.
Stai attento alle tue azioni, perché diventeranno le tue abitudini.
Stai attento alle tue abitudini, perché diventeranno il tuo carattere.
Stai attento al tuo carattere, perché diventerà il tuo destino.   “

Essere coerenti è una scelta che richiede forza interiore. Non è testardaggine cieca, ma adesione consapevole ai propri valori.

Direi che in un mondo che cambia, la vera rivoluzione è restare fedeli a ciò che conta. E in un mondo che cambia ancora più velocemente che in passato, i principi devono continuare a far da guida.

Secondo la Treccani l’Intelligenza è il:

Complesso di facoltà psichiche e mentali che consentono di pensare, comprendere o spiegare i fatti o le azioni, elaborare modelli astratti della realtà, intendere e farsi intendere dagli altri, giudicare, e adattarsi all’ambiente.

Inizio il mio ragionamento citando Charles Darwin: in estrema sintesi la sua Teoria dell’Evoluzione si basa sull’idea che le specie che sopravvivono sono quelle che meglio si adattano all’ambiente nel quale vivono. L’ambiente naturale è caratterizzato da continui – anche se a volte quasi impercettibili – cambiamenti che mettono alla prova, a dura prova, le capacità dei singoli individui o di intere specie animali.

Sicuramente la “Coerenza” non è tra quelle caratteristiche più importanti per sopravvivere in un ambiente ostile.

In modo brutale James Russell Lowell sintetizzava che “Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione”: i primi proprio perché non ne abbiano più la possibilità, i secondi perché non ne hanno la fantasia o l’evidenza del vantaggio.

Coloro che sono in grado di adattarsi e evolversi sono più propensi a prosperare in un mondo in continua evoluzione.

L’adattamento permette di rispondere in modo efficace alle sfide e alle opportunità.

Se pensiamo all’uomo e passiamo mentalmente dalla sopravvivenza – nuda e cruda – della nostra specie nel mondo primitivo, immaginandoci gli australopitechi che si “inventano” camminatori e migratori e superiamo anche i Neandertaliani che si “inventano” cacciatori e passiamo ai tempi contemporanei, in un contesto imprenditoriale, ad esempio, le aziende che sono in grado di adattarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato sono più competitive e innovative, e riescono a cogliere le opportunità che i cambiamenti forniscono.

Lo spirito di adattamento, così come nel passato, anche oggi, favorisce la creatività e l’innovazione, poiché incoraggia a pensare fuori dagli schemi e a esplorare nuove soluzioni.

Questo spirito vale anche nel contesto sociale: in un “mondo liquido” – per dirla come Zygmunt Bauman – l’identità è un processo, non un punto fisso, ed è in continuo movimento.

L’intelligenza è, per sua natura, fluida e reattiva. Capace di non rimanere aggrappa a uno schema di ragionamento, ma ascoltando il mondo, valutando il contesto, si trasforma e cerca nuove soluzioni a nuovi problemi.

Però ci hanno insegnato che cambiare idea è un segno di debolezza. E ci hanno fatto vedere l’incoerenza come una colpa, quasi come un tradimento, una scelta da codardi.

Nel cattolicesimo c’è – a ben guardare – una devozione speciale per chi è stato pronto a sacrificare la vita per i principi religiosi, quei Martiri che spesso sono nei nostri calendari ricordati quasi quotidianamente. Ma questo “assolutismo” è una costola del fanatismo, di quello stesso cieco oscurantismo una volta diventato potere temporale.

Martin Luther fu – ad esempio – dapprima tacciato di incoerenza e di non rispetto dei propri voti ecclesiastici da Monaco Agostiniano quando inchiodò alla porta della chiesa di Wittenberg le sue 95 tesi, fu via via combattuto più aspramente fino alla scomunica, 3 anni più tardi. E quando venne lo strappo nuovi principi erano stati formulati in modo chiaro (la “sola fide” e “sola scriptura”, che la salvezza di possa avere solamente attraverso la fede e che valgono solamente le sacre scritture e nient’altro). Tutta questa storia – che a distanza di più di mezzo millennio da quel 1517 – nacque da un conflitto interiore tra obbedienza alla dottrina e ricerca della verità ed ebbe effetti dirompenti: la nascita del protestantesimo, la decentralizzazione del potere ecclesiastico e una nuova concezione della fede individuale, ma sostanzialmente tra principi esistenti e nuovi principi.

Potrei dire che sia necessario avere coraggio anche per rinnegare un pensiero, per approdare a uno che si ritiene migliore. Che i principi che si hanno sono le colonne e gli architravi della struttura del nostro essere – e ognuno ha i propri – ma che dovremmo essere capaci di metterli in discussione per essere sicuri che siano coerenti con quello che siamo davvero nel nostro percorso interiore o che non ce ne siano altri che ci rappresentino di più, anche perché mi ritrovo nelle parole di Sandro Pertini:
” La coerenza è come si è, e non come si è deciso di essere. “

🎬 1. Codice d’Onore (A Few Good Men) – Rob Reiner (1992)
Al Naval Base di Guantánamo Bay, due Marines – Dawson e Downey – sono accusati dell’uccisione del collega William Santiago durante un “codice rosso” non ufficiale. Il tenente Daniel Kaffee (Tom Cruise), noto per patteggiamenti rapidi, viene assegnato alla difesa, coadiuvato dalla tenente Joanne Galloway (Demi Moore), che sospetta un coinvolgimento di un ordine superiore. Tra interrogatori e prove, scoprono che il colonnello Nathan Jessep (Jack Nicholson) ha effettivamente ordinato il “codice rosso”. Nel celebre scontro finale in aula, Kaffee provoca Jessep fino ad ottenere la storica confessione: “Tu non puoi reggere la verità!” – “You can’t handle the truth!”

🎬 2. V for Vendetta – James McTeigue (2005)
In un futuro distopico, la Gran Bretagna è sotto un regime totalitario. Un misterioso rivoluzionario mascherato, conosciuto come “V”, organizza un’insurrezione contro il governo e salva Evey, una cittadina oppressa. Attraverso attentati mirati e trasmissioni televisive, V scuote la popolazione. Pur rimanendo nei limiti della legalità, dimostra che la coerenza ai propri ideali – giustizia, libertà – può scatenare il cambiamento.

🎬 3. Erin Brockovich – Forte come la verità – Steven Soderbergh (2000)
Erin Brockovich (Julia Roberts), madre single senza laurea, lavora in uno studio legale. Scopre che la Pacific Gas & Electric sta contaminando l’acqua potabile di Hinkley (California) con il cromo esavalente. Pur ignorata all’inizio, Erin raccoglie testimonianze, insiste nonostante le minacce e vince una causa storica, ottenendo un risarcimento record (330 milioni $). Il suo coraggio e coerenza hanno portato giustizia alle vittime.

🎬 4. Gran Torino – Clint Eastwood (2008)
Walt Kowalski, reduce della guerra di Corea, vive da solo a Detroit, con forti pregiudizi verso i vicini Hmong. Un giorno, il giovane Thao tenta di rubare la sua Gran Torino sotto costrizione di una gang. Walt interviene con la sua arma: questo gesto segna l’inizio di un legame con Thao e sua sorella Sue. Alla fine, per proteggere la famiglia da uno scontro con la gang, Walt si sacrifica fingendo di avere un’arma, provocando la sua stessa morte – ma salvando Thao da un destino peggiore. In testamento lascia la Gran Torino a lui reddit.com+9en.wikipedia.org+9spoilertown.com+9.

🎬 5. L’Attimo Fuggente (Dead Poets Society) – Peter Weir (1989)
Nella rigida accademia Welton, il professore John Keating (Robin Williams) insegna ai suoi studenti a seguire le proprie passioni, declamando il motto carpe diem. Gli studenti studiano poesie segreti e ricreano il loro club letterario in una “grotta”. Il percorso porta Elliot Perry a superare la paura, e Neil Perry – sfidando il padre – recita il suo sogno di teatro. Alla fine, Neil si suicida quando il padre lo obbliga a fermarsi: i ragazzi proclamano “Oh Captain! My Captain!” in segno di lealtà alla coerenza morale di Keating.

🎬 6. Braveheart – Cuore impavido – Mel Gibson (1995)
William Wallace guida la resistenza scozzese contro gli inglesi dopo l’uccisione della sua amata. Con discorsi pubblici e battaglie strategiche, incarna la lotta per la libertà nazionale. Catturato e torturato, rifiuta di rinnegare il suo ideale: proprio morendo, grida “Freedom!” – diventando un simbolo immortale della coerenza con la sua causa libertaria.

🎬 7. Un uomo per tutte le stagioni (A Man for All Seasons) – Fred Zinnemann (1966)
Basato sulla storia di Thomas More, Lord Cancelliere di Enrico VIII. Quando il re decide di creare la Chiesa Anglicana per sposare Anna Bolena, More – uomo religioso e leale – si rifiuta di firmare un atto che lo contraddice moralmente. Non cede nonostante l’arresto, il tradimento da parte di amici e la minaccia di esecuzione. Viene giustiziato coerentemente con la sua fede.

🎬 8. La Parola ai Giurati (12 Angry Men) – Sidney Lumet (1957)
Dodici giurati si ritrovano in una stanza claustrofobica per decidere sul destino di un ragazzo accusato di parricidio. Al primo voto iniziano 11-1. Juror #8 (Henry Fonda) comincia a svelare dubbi fondamentali: l’affidabilità dei testimoni, la vista obliqua della finestra, la costruzione del coltello, la voce al tatto. Uno ad uno, i giurati cambiano opinione: emergono pregiudizi, caratteri intensi, emozioni umane. Alla fine il voto è unanime per l’assoluzione, grazie alla coerenza con l’idea di giustizia basata su «ragionevole dubbio» rogerebert.com+1it.wikipedia.org+1.

🎬 9. Selma – La strada per la libertà – Ava DuVernay (2014)
Nel 1965, Martin Luther King Jr. guida la marcia da Selma a Montgomery, in Alabama, per ottenere il diritto di voto per gli afroamericani. Malgrado brutalità e arresti, King insiste sulla nonviolenza: migliaia di persone marciarono, la marcia passò per il ponte Edmund Pettus sotto lo slogan “We Shall Overcome”. Il suo impegno coerente alla giustizia civile influenzò l’America e portò al Voting Rights Act.

🎬 10. The Crucible (Il crogiuolo) – Nicholas Hytner (1996)
Ambientato nella Salem del 1692 durante i processi alle streghe, racconta di John Proctor, un uomo accusato di stregoneria. Per salvarsi dovrebbe accusare altri o ammettere un crimine non commesso. Rifiuta entrambe le soluzioni, pur sapendo che ciò gli costerà la vita. Dichiara: “Perché è il mio nome!” – coerente con la verità e la dignità personale.

Come “bonus” aggiungo un film del 1979 che a mio avviso è il punto più alto della capacità attoriale di uno dei “grandi” di Hollywood.
“E giustizia per tutti” è un dramma giudiziario che esplora il sistema legale americano mettendone in luce ipocrisie, contraddizioni e ingiustizie strutturali.
Al Pacino interpreta Kirkland, un avvocato idealista e integerrimo, al quale viene chiesto di difendere un giudice corrotto (interpretato da Jack Warden) accusato di stupro, lo stesso giudice con cui in passato aveva avuto scontri duri in aula. Kirkland si trova così combattuto tra l’etica professionale e la propria coscienza, tra il dovere di difendere un cliente e il desiderio di verità e giustizia. Il film affronta temi come l’abuso di potere, la burocrazia cieca della legge, la perdita di fiducia nel sistema giudiziario e la solitudine di chi cerca di restare onesto in un ambiente marcio.