Intervista a Paolo Zamboni

Il Professor Zamboni ha appena dato alle stampe il suo ultimo libro “Nascoste nella Tela” (Mondadori Editori) nel quale unisce la sua passione per l’arte e il suo proverbiale occhio clinico, sempre mitizzato dai suoi numerosi pazienti. Il suo piacere per la scoperta, per l’indagine scientifica viene versato in questa novità in libreria svelando ai lettori i misteri nascosti nei dipinti di famosi pittori. Ne risulta un testo avvincente rivolto a qualunque fascia di lettori per la immediatezza del linguaggio usato. 

Per me re-incontrare Zamboni è, prima di tutto, un piacere per la sua simpatica schiettezza, tipicamente ferrarese, che rivedo identica. Una immediatezza che è anche in questa opera, non rivolta ai medici ma a tutte le persone attratte dall’arte, e ne diventa un valore aggiunto. 

Il nostro primo incontro risale a diversi anni fa. Fu dopo una presentazione di un suo studio, davvero stupefacente, condotto nello spazio. 

Ora mi fa davvero piacere condividere con i lettori la sua visione della ricerca medica e della comunità scientifica. 

Immagine dall’Ospite

Paolo Zamboni è un chirurgo e ricercatore italiano laureatosi presso l’Università degli Studi di Ferrara dove oggi è professore ordinario di Chirurgia Vascolare. È stato cofondatore e presidente della International Society for Neurovascular Diseases (ISNVD), società scientifica internazionale volta allo studio delle malattie neurovascolari. 

Professore, lei è stato insignito anche del titolo di Commendatore al Merito della Repubblica Italiana in riconoscimento del suo operato in campo medico-scientifico per i suoi studi sull’emodinamica venosa e in particolare per quella cerebrale. Uno studio complesso il suo che ha portato alla definizione della insufficienza venosa cronica cerebrospinale (CCSVI) che continua a essere sotto l’attenzione della comunità scientifica. 

La definizione del difettoso funzionamento delle vene giugulari, inizialmente da noi descritto nei malati di sclerosi multipla, è stata molto contestata dalla comunità neurologica. In realtà la controversia scientifica non era tanto sulla scoperta vascolare in sé, ma era dovuta alla applicazione di terapie chirurgiche endovascolari su questi pazienti. Nel tempo molti altri ricercatori si sono occupati di CCSVI, trovando impensate correlazioni delle giugulari difettose con cefalea, sindrome di Meniere, Alzheimer, Parkinson ed altre malattie neurologiche, di fatto aprendo una porta fino a quel momento mai varcata dalla comunità scientifica. Una nuova possibilità per contribuire alla conoscenza migliore di malattie in parte ancora misteriose. 

Nell’evento del quale parlavo nell’introduzione, presentò uno studio per degli esperimenti che furono eseguiti da Samantha Cristoforetti sulla base internazionale orbitante. Fu un’avventura davvero incredibile, può raccontarla ai nostri lettori? 

Il progetto Drain Brain fu una fantastica esplorazione scientifica che ci permise di comprendere il contributo della forza di gravità in particolare sulla circolazione cerebrale. La fortuna di poter disporre della collaborazione in orbita di uno scienziato aggiunto come la nostra Samantha Cristoforetti è stato determinante per il successo della missione. Gli esperimenti erano molto complessi dovendo io coordinare da Terra, in una base predisposta dall’Agenzia Spaziale Italiana, tre laboratori dislocati fra Danimarca e Stati Uniti oltre al modulo orbitante nel quale Samantha doveva eseguire gli esperimenti di fisiologia umana su se stessa. Indimenticabile, credetemi. 

Quell’esperienza divenne poi la base di una pubblicazione scientifica, ma del resto di studi scientifici ne ha pubblicati diversi: la ricerca è quella strada che può trasformare una ipotesi e far nascere una terapia. Quante pubblicazioni ha effettuato finora? 

Moltissime. Ma vede le pubblicazioni sono, nella mia testa, un modo di consegnare ad altri scienziati, specialmente ai giovani ricercatori, dati e documenti validati che divengono un patrimonio scientifico per procedere in avanti e migliorare le condizioni di vita dell’Umanità. I nuovi strumenti diagnostici che abbiamo usato nello spazio ad esempio li abbiamo ora adattati e li stiamo usando sulle persone malate. 

Copertina del libro (Mondadori)

Il nuovo libro nasce quando si è reso conto che la sua passione per l’arte non le impediva di avere comunque l’occhio clinico: riconosceva nelle opere pittoriche, malattie e morbi che ora sono conosciuti. Come le è nata l’idea di farlo diventare un libro? 

Il libro di fatto raccoglie tanti anni di osservazioni. Opere pittoriche viste da milioni di occhi in cui si celano segni di malattie dei soggetti ritratti, malattie dello stesso pittore, o addirittura cervelli nascosti in affreschi delle chiese. Non avevo mai avuto il tempo di scriverlo. E’ nato perché gli ho dedicato i lunghi week-end del lock-down. 

L’ osservazione medica ai nostri giorni è sostituita dall’indagini strumentali. Quanto è utile nella diagnosi precoce per le malattie anche una lettura attenta dei segni?

Come nel mio libro la diagnosi medica è un processo indiziario, dove fondamentale è l’osservazione medica ed il colloquio medico. Pensate che molto spesso la risposta di una diagnosi precoce è nel racconto del paziente, nelle sue parole e nelle sue abitudini. Un qualcosa che oggi si tende a trascurare trincerandosi dietro alle tecnologie. Un grandissimo errore e regresso.

Abbiamo parlato di occhio clinico, anche nella lettura delle opere d’arte. Il ricorso al Dottor Google può ritardare la possibilità di una diagnosi corretta?

Caro Gabrielli io credo che l’occhio clinico sia una fusione e di esperienza e di talento del medico. Così come un calciatore puó essere più bravo di un altro a tirare una punizione o a colpire con il tacco o con la testa, così ci sono medici più inclini all’osservazione e a cogliere l’aspetto decisivo. Le tecnologie possono solo servire a confermare il loro sospetto ed il loro ragionamento. Google non puó lontanamente avvicinarsi. Come capirete leggendo Nascoste nella Tela gli occhi vedono solo quello che conoscono.

Questo libro poi – tra le righe – ci racconta quanto le malattie facciano parte della vita, quanto l’emergenza sanitaria per la presenza di una nuova malattia non sia un evento poi così raro, anche se certo una pandemia è un evento meno frequente. Lei ha studiato anche la situazione generata dal Covid 19, giusto? 

Ho fatto orgogliosamente parte del gruppo dei 13 ricercatori italiani che per la prima volta in studi autoptici ho dimostrato il meccanismo delle rarissime complicanze da vaccinazione anti Covid. Quel contributo ha trasformato una drammatica reazione sconosciuta in una condizione ora riconoscibile e trattabile. 

A tutti questi studi, lei affianca anche l’attività accademica di preparazione delle nuove leve in medicina. La Pandemia ci ha mostrato in modo chiaro anche quanto sia fragile la salute e precario il nostro sistema immunitario davanti ad un agente sconosciuto. Cosa si può fare per aiutare il Sistema Sanitario Nazionale a suo avviso? 

Dobbiamo ritornare a pensare che Sanità ed Educazione devono essere le due pietre angolari che lo Stato deve assicurare ai cittadini. Il numero chiuso imposto sulle Lauree in medicina e sulle specializzazioni, ha fatto si che in questo momento di emergenza non abbiamo abbastanza medici sul campo. Non dobbiamo più erodere il miglior servizio sanitario nazionale del mondo.