Archive for Luglio, 2021

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Soldato Giulio Moscardi – Adria 25.04.1897 / Adria 14.01.1923
Cappellano militare Don Giulio Facibeni – Galeata 29.07.1884 / Firenze 02.06.1958

E’ buio, fumo una sigaretta appoggiata alla staccionata, pancia piena di una squisita carne con patate cotta nella Peka e cervello inebriato da un ottimo prosecco, guardo il paesaggio attorno a me, illuminato dalla luna, e ascolto il silenzio assordante, rotto solo da qualche rumore della natura e dal brusio che arriva da dentro, risate, chiacchiere e racconti.

La temperatura è piacevole, un po’ di fresco ci voleva, e io sono persa nei miei pensieri, penso alla commemorazione di domani ma soprattutto mi sembra di sentire Loro, i lamenti di quei ragazzini, perché questo erano, caduti a migliaia proprio in queste zone, in queste montagne, lontani da casa e non per loro scelta; ho il magone in gola, il vino non aiuta in questi casi, mi fisso a pensare a quanti saranno morti proprio nel punto dove mi trovo io, e mi scende una lacrima al pensiero che magari qualcuno di Loro non è morto subito, magari è stato lì agonizzante per ore, o forse giorni, e penso alla “fortuna” che hanno avuto quelli che si sono spenti subito.

Mi trovo sul Monte Grappa, alle pendici del Monte Pertica, e il paesaggio è bellissimo, colline dolci e verdi, con quei curiosi avvallamenti che non sono altro che il segno di bombardamenti continui; sono ancora ferma al pensiero di Loro e questa sensazione molto forte di cosa i loro occhi avranno visto prima di chiudersi definitivamente, non certo quello che vedo io ora ma solo distruzione, fumo e corpi martoriati.

E penso a Lui, mio fratello, che si è prodigato, con scrupolose ricerche storiche, per dare onore alla memoria di un fratello di nostro nonno paterno, suo omonimo, morto per le conseguenze delle ferite di guerra (http://www.condivisionedemocratica.com/2020/01/08/giulio-un-ragazzo-nella-grande-guerra/)

E’ un anno che Giulio aspetta questo momento, la commemorazione è stata rinviata causa pandemia, e ha organizzato tutto alla perfezione, collaborando con Davide Pegoraro, storico ed esperto della storia della Prima Guerra Mondiale sul fronte europeo, e Delfio Favrin, che gestisce con la compagna una struttura ricettiva sul Grappa.

(Immagine da Giulio Moscardi)

Ci alziamo presto, è il 26 giugno e il sole splende, facciamo colazione e io mi fumo la prima sigaretta appoggiata sempre nello stesso punto della sera prima, la vista adesso è diversa, c’è il sole, si sentono rumori e i profumi della natura sono vivi, eppure io sento ancora questo velo di angoscia, continuo a pensare a Loro, quella percezione di averli attorno e quella suggestione di sentirli grati per questa giornata di memoria.

Alle 9 iniziano ad arrivare gli invitati, amici, conoscenti, le Istituzioni, quindi il sindaco di Adria, Omar Barbierato, con una piccola rappresentanza al seguito, e il sindaco di Valbrenta Luca Ferrazzoli, poi vedo arrivare Patrizio Colombo, un giovane ragazzo partito prestissimo da Firenze in rappresentanza dei suoi genitori, Francesca Elia e Mauro Colombo, rispettivamente regista e produttore del film documentario sulla vita di Don Giulio Facibeni,

Inizio a salutare persone che vedo pochissimo, mi perdo in chiacchiere, quando ad un certo punto mi giro e sono colpita da un’immagine particolare: l’arrivo di quattro uomini – tre carabinieri e un ufficiale del Primo Nucleo Uniforme Storiche Arma dei Carabinieri – che vedo salire dal prato, sono in fila indiana e tengono la lucerna sottobraccio. Loro, il silenzio e il paesaggio. Sembra la scena di un film, sembra un istante di cento anni fa.

E’ tutto pronto, i fiori di campo vengono messi in un vaso e posizionati alla base delle due steli – pensate e disegnate da mia cognata Eva -, coperte con una bandiera italiana del 1918, un reperto storico di grande valore (la bandiera è rimasta a Trieste fino al 1954; dopo la fine della seconda Guerra Mondiale, quindi dopo la caduta del Re, dalla bandiera era stato tolto lo stemma sabaudo, stemma però riattaccato appunto nel ’54 dai triestini quando si voleva annettere Trieste alla Jugoslavia).

Inizia la cerimonia.

(Immagine @martmosc)

Il picchetto d’onore, composto dai militari in divisa d’epoca, si posiziona ai lati delle lapidi, e lì rimarrà fino alla fine della cerimonia. Si procede con la scopertura, viene deposta una corona di alloro in memoria del soldato Giulio Moscardi ed iniziano gli interventi.

Le parole che vengono spese sono tante, è tutto molto commovente e io, allergica ad ogni tipo di retorica, ascolto con attenzione e trovo che nessuna parola detta sia fuori luogo e fuori contesto.

Si ricordano date, luoghi, battaglie della Prima Guerra Mondiale ma lo scopo di tutto questo è onorare le migliaia di ragazzi che sono morti in questi luoghi, indipendentemente da quale provenienza avessero, che fossero italiani, piuttosto che austriaci, oggi il ricordo è per tutti, per Loro morti in questa terra e per tutti caduti nelle guerre.

Gli interventi sono
tanti, parlano i sindaci, parla Patrizio, il giovane fiorentino, è tutto molto
emozionante, siamo tutti attenti, adulti, giovani e bambini.

L’emozione forte, e incontrollabile, mi arriva però ascoltando due interventi in particolare.

“….queste sono due sono figure maestose – dice Davide Pegoraro, iniziando il suo intervento – e queste figure non sono figure sconosciute, sono i nostri bisnonni, i nostri nonni, e sono anche i nonni e bisnonni degli altri, quindi estenderei questa parola meravigliosa che avete usato “noi” a Loro, è più esteso no?! Loro, Loro è qualcosa che non tiene conto di me, tiene conto solo degli altri, e forse quando si fa Memoria Storica è opportuno che non ci sia neanche il “noi” ma che ci sia il Loro, primo perché io non c’ero durante la guerra, posso solo riportarvi quello che ho letto e studiato, ma soprattutto perché la guerra è forse in assoluto l’elemento dove c’è solamente l’Io. Le guerre non finiranno mai, mi tocca dirlo, ma piccoli episodi, come quello di oggi, aiuteranno quanto meno ad avere comprensione e con la consapevolezza si vince, anche se si perde; qui abbiamo due Soldati che l’hanno vinta la guerra, uno come cappellano militare e l’altro come combattente effettivo, ma sono convinto che se chiedessimo a Loro non ci direbbero questo, ci direbbero che la guerra l’hanno persa tutti, indistintamente. E’ giusto che vi faccia una descrizione di cosa qui è accaduto, voi vi trovate sul Col della Martina….”.

(Immagine @martmosc)

Queste parole mi hanno davvero colpita, le ho trovate appropriate, profonde, mai fuori luogo e fuori tempo, lontane da ogni orientamento politico e anche religioso, severe ma umane.
Con queste parole il silenzio si fa totale, mi guardo attorno, le tante persone presenti sono concentrate e io ho la sensazione che trattengano il respiro, o forse sono solo io a trattenerlo, i bambini guardano e ascoltano, gli adolescenti sono concentrati, i soldati immobili e imperturbabili. Sento il bisogno di respirare davvero, mi allontano un secondo e mi guardo attorno, tutto questo verde e questa aria pulita in effetti aiuta.

E’ il momento dell’intervento di Giulio, è il suo momento, il momento del suo lavoro, dopo tanta attesa, inizia a leggere “Ero bambino quando, nella grande casa dei miei nonni, spesso mi piaceva entrare in una piccola saletta. Ricordo la poca luce, l’odore di naftalina e il profondo silenzio. Lì mi fermavo a guardare una gigantesca fotografia in bianco e nero, alta come un uomo, incorniciata e appesa al muro; e vecchia, tanto vecchia, quasi antica. Era di un ragazzo, in una posa elegante, leggermente girato di fianco, lo sguardo serio. Aveva una mano all’interno di una tasca dei larghi pantaloni e l’altra dietro la schiena. Indossava un maglione con il collo alto, una giacca militare con due decorazioni nere sui baveri…”.

(Immagine da Giulio Moscardi)

Continua a leggere, lo osservo, mi viene in mente quando eravamo piccoli, la sua passione per i soldatini e i film di guerra, e di quando giocavamo insieme nel giardino della casa dove siamo cresciuti.

Lo vedo sicuro nella lettura, nessun imbarazzo, in fondo sta raccontando una storia, i fatti, i luoghi, le date, sta andando davvero molto bene, in fondo è un professionista, sa gestire le situazioni. Il racconto adesso si fa più intimo, si inizia a parlare delle ferite di guerra, del calvario e del dolore fisico e psicologico, delle accuse di ammutinamento prima e di insubordinazione dopo, dei periodi trascorsi in prigione e di una Patria che prima l’ha “spremuto” e poi abbandonato.

Si immedesima, si immedesima così tanto che l’emozione prende il sopravvento, la sua commozione parla di tutto, di empatia, di fatica per il lavoro fatto, di attesa per questo momento, e poi chissà di quanto altro…
Tutti ci rendiamo conto in quel momento preciso che ha bisogno di essere accompagnato nel suo viaggio, almeno per un pezzetto. Qualcuno prova a farsi avanti ma io mi faccio largo tra tutti, mi avvicino a lui che mi consegna il foglio e continuo a leggere.

Il testo è molto doloroso e io faccio spazio alla rabbia per evitare che la commozione si riproponga, come ha già fatto più volte nelle ultime ore. Giulio, con rispetto, mi si avvicina silenziosamente e capisco che è il momento di lasciargli continuare la lettura.

Per me è stato un momento importante, improvvisamente è sparito il contesto in cui eravamo e per qualche minuto sono rimasta ferma all’affetto che provo per lui, noi così diversi ma uniti in quella che è stata la nostra storia e, purtroppo, anche la nostra guerra.
E un pensiero l’ho rivolto anche ai nostri genitori che, seppur avendoci tenuti in una guerra (e non per Nostra scelta), ci hanno trasmesso dei valori importanti e soprattutto ci hanno fatto il (sano) lavaggio del cervello con frasi del tipo “aiutatevi sempre e state uniti”.

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Signore, Tu che stronchi le guerre, accogli la nostra preghiera per la pace. Accogli il nostro pianto mai spento, per tutte le vittime che ogni guerra e violenza miete….”., recita Don Giuseppe, parroco di Seren del Grappa, leggendo la Preghiera al Col della Martina, siamo tutti raccolti, che si ascolti o meno le parole, il momento è davvero toccante per tutti, credenti e non.

La cerimonia si chiude con la consegna da parte di Davide Pegoraro della “Croce dei Popoli” alle persone che si sono spese per questa ricerca storica, accompagnata da una pergamena che spiega le motivazioni di tale onorificenza.

La fine della Commemorazione mi sembra un risveglio, come mi fossi ridestata da un momento mistico, bella e dolorosa sensazione.

Per quanto mistico sia il momento poi sappiamo come va a finire, per fortuna, al termine di ogni tipo di cerimonia, ebbene sì: “Magna e bevi”.
Tutti in compagnia abbiamo terminato la mattinata con un rinfresco a base di prodotti tipici in un posto davvero suggestivo e, non contenti, non sazi e “non sufficientemente idratati” (come solo noi veneti sappiamo essere) abbiamo infine pranzato al rifugio “Valtosella”, gestito da Davide e la moglie Elena, ottima cuoca.

(Immagine @martmosc)

La giornata si è chiusa, per noi pochi rimasti, con una visita in una delle grotte, poste sotto Col Della Martina, dove erano situati i ricoveri e i posti di comando dei reparti austro ungarici. La grotta si pensa sia quella a cui si fa riferimento nella motivazione della medaglia d’argento del soldato Giulio “scorta per primo l’esistenza di una grotta…”. Delfio è stata la prima persona che Giulio ha incontrato due anni fa ed è lui che l’ha condotto in quella grotta, grotta che poi loro due, insieme a Davide, hanno ripulito con un lavoro attento e preciso.
Arriviamo e la Madonnina, posta nell’apposito incavo, viene illuminata da un raggio di sole che si fa spazio tra i rami e le foglie, l’immagine parla da sola….Loro….

eh, siamo tutti e due emotivi, io poi senza ritegno” dico a Davide che mi si avvicina appena terminata la cerimonia e mi trova con gli occhiali da sole appannati, “non ti preoccupare, dì a tutti che hai una pesante allergia”, lo guardo e rispondo “no! dico che ho pianto, perché nascondere?” e il suo sorriso complice mi rasserena.

Oggi vi parlo di un incontro avvenuto sul lambire di un bosco, ai piedi del monte Soratte. Questo monte che si erge come un’isola non lontano dalla capitale, è carico di storie e leggende, citate da Dante, Orazio, Plinio e molti altri. Virgilio nell’Eneide riferisce un’invocazione di Arunte al dio Apollo “custode del santo Soratte” e parla della pratica cultuale del camminare sui carboni ardenti durante i riti a lui dedicati (sacrifici animali ed umani compresi). Secondo altre antiche leggende gli “Hirpi Sorani”, i sacerdoti che in un tempio sul Soratte veneravano Apollo in forma di lupo, potevano trasformarsi essi stessi in lupi. Durante le cerimonie in suo onore, lo stesso Apollo prendeva le sembianze di grande lupo bianco. E ora vengo al presente, argomento “lupi” compreso.

(Foto dell’autrice)

Posso testimoniare per esperienza diretta che la magia avvolge davvero la verde e sacra montagna, motivo per cui spesso mi sono aggirata tra i sentieri che conducono ai vari eremi, mi sono persa nel bosco dopo essermi affacciata sulle pericolose bocche dei famosi “meri” (considerati in antichità le porte per gli inferi); non ho resistito al fascino della grotta di Santa Romana, scelta come location per un progetto fotografico di cui offro con piacere un anteprima a Condivisione Democratica 

(Foto di Claudio Donati)

Proprio alla fine di una di queste mie avventure ecco che mi capita di scambiare due parole con una persona che, nonostante un look che avrebbe sviato chiunque (senza nulla togliere a quello tipico dei pastori), risulta essere per l’appunto, a guardia di un gregge poco distante. Il bel giovane si premura di avvertirmi che, nel caso io mi aggiri spesso nei boschi da sola, dovrei come minimo portarmi dietro un bastone. Lo avevo già sentito dire, ma Mario, oltre confermarmi la presenza di lupi, mi specifica che: sono tre esemplari, è raro attacchino l’uomo, è frequente che si divorino le pecore; in più mi spiega che, nello sfortunato caso venissi attaccata, la manovra da compiere è quella di avvolgere e proteggere la propria gola con il braccio. Non volevo scrivere cose tragiche, d’altronde questa è la natura e va amata così. Insomma, nel procedere di questa conoscenza, mi colpisce l’appagamento e la fierezza con cui Mario mi parla del suo lavoro: “Faccio il pastore da sempre e non mi sono mai stufato, né di svegliarmi all’alba per la mungitura, né di stare le ore qui, nella solitudine, in mezzo ad un prato, a seguire il gregge. Avrei potuto fare altro; mio padre, sebbene l’azienda agricola sia di famiglia e ci lavori da sempre, è archeologo, si interessa di tante cose a livello storico e culturale. Mia sorella è nel teatro. Mia madre maestra. Io sono un pastore e non vorrei fare null’altro. Mario, col suo viso da attore e la sua cultura, ha scelto a 28 anni, il contatto con la natura, il silenzio, la contemplazione. E comunque, nel 2021, sembra sia di tendenza: recentemente ho letto di alcune ragazze-pastore e, lo confesso, quando avevo 15 anni, in una mia fase di ritiro spirituale, avevo pensato anche io che quello fosse il lavoro per me. Poi sopraggiunsero altri stimoli ma, posso davvero capire Mario, il bel pastore del Soratte