L’esordio come atto di coraggio

C’è un momento, nella vita di ogni essere umano, in cui il silenzio si rompe.

È l’istante in cui ciò che era rimasto dentro — pensiero, desiderio, timore, visione — trova la forza di mostrarsi. L’esordio è esattamente questo: il gesto iniziale, il passo fuori dalla zona protetta dell’anonimato, il primo fiato pronunciato in pubblico, l’irruzione dell’“io” nel mondo.

Ma esordire, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è un atto naturale. È un atto di coraggio.

Cominciare è già essere a metà dell’opera”, scriveva Orazio. E per cominciare bisogna affrontare l’abisso dell’ignoto. Quando un autore scrive la prima riga del suo romanzo, sa che tutto può crollare. Quando un artista presenta la sua prima mostra, si espone a uno sguardo che può ferire. Quando un giovane debutta nel suo primo colloquio di lavoro, porta con sé non solo il curriculum, ma anche la paura di non essere abbastanza.

L’esordio è un rischio. E come tutti i rischi, può attrarre o paralizzare.

Il filosofo Søren Kierkegaard definiva il “salto della fede” come l’atto di chi, pur senza garanzie, si butta. In quel salto c’è il cuore dell’esordio: un momento carico di tensione, perché il futuro è incerto e il passato non offre rifugio. Esordire significa scegliere di essere visibili, vulnerabili, giudicabili.

È un atto di nudità. Ma è anche il primo vero atto di libertà.

Viviamo in una cultura che celebra la perfezione.

I social ci mostrano esordi già riusciti: il romanzo best seller dell’esordiente, l’attore alla sua prima interpretazione magistrale, l’imprenditore che diventa milionario a venticinque anni. Ma questi sono miti, montaggi, eccezioni raccontate come regole.

La verità è che quasi nessun esordio è brillante. Molti sono stentati, goffi, incerti. Eppure, è proprio nell’imperfezione che risiede l’autenticità dell’inizio.

Il poeta Rainer Maria Rilke, in una lettera a un giovane scrittore, scriveva: “Devi dare tempo a ogni impressione e a ogni seme della tua anima di crescere.” Non si tratta di fare bene subito, ma di avere il coraggio di cominciare, sapendo che il primo tentativo sarà forse insufficiente, ma indispensabile.

Ogni grande opera ha avuto un piccolo inizio. Ogni maestro è stato apprendista. Ogni voce sicura ha tremato la prima volta.

Elogio degli esordi

C’è una bellezza unica negli esordi. Una bellezza che nasce dalla tensione tra ciò che è e ciò che potrebbe essere. Ogni esordio è una dichiarazione di fiducia nel futuro. È una scintilla che illumina una possibilità. Anche se fragile, anche se breve.

Il primo quadro di Van Gogh, ritenuto mediocre all’epoca, porta già dentro la forza del suo sguardo. Il primo discorso pubblico di Nelson Mandela, timido e formale, contiene già la dignità del leader che sarà. Il primo film di una regista indipendente può essere tecnicamente imperfetto, ma se ha dentro una visione, ha già vinto.

Il vero valore di un esordio non è nel risultato, ma nell’intenzione.

In un mondo che giudica subito, che esige performance, che riduce tutto a numeri, l’esordio è un atto ribelle. Perché implica pazienza, vulnerabilità, imperfezione. Eppure, è anche l’unico modo per trasformarsi.

Esordire significa dire al mondo: “Eccomi.” Non sono ancora perfetto, ma sono vero. Non sono ancora esperto, ma sono presente. Ho una voce, e oggi scelgo di usarla.

È per questo che ogni esordio, piccolo o grande, pubblico o privato, merita rispetto. Perché dietro ogni primo passo c’è un essere umano che ha vinto la paura del giudizio. Un essere umano che ha scelto di esserci.

Come scriveva Fernando Pessoa:

Vale più l’imperfezione dell’atto che la perfezione dell’intenzione rimasta nell’ombra.”

Forse dovremmo tornare ad amare gli esordi. Non solo i nostri, ma anche quelli degli altri. Accogliere chi prova, chi osa, chi inizia. Perché esordire è sempre un atto generoso: verso sé stessi e verso il mondo.

E, in fondo, non è forse vero che ogni giorno è, in qualche modo, un nuovo esordio?