QUEL RAFTING SPERICOLATO, INSENSATO, INUTILE E LETALE, CHE CHIAMIAMO VITA
Humanity must go on
La vita ha uno scopo ma non un senso. Esiste, cioè, unicamente per perpetuare sé stessa. Sono solo due, infatti, le ragioni per le quali mettiamo al mondo dei figli: illuderci di eternare noi stessi e garantire la sopravvivenza della specie, a qualunque costo.
A proposito di costo: qualcuno ha mai riflettuto sul fatto che sarà proprio questo assurdo imperativo categorico a cancellare il genere umano dalla faccia della Terra? Continuando di questo passo, non è facile dire chi perirà prima tra l’umanità (sostantivo: dell’aggettivo è rimasto ben poco) e il Pianeta. Solo una cosa è certa: accadrà più presto di quanto immaginiamo.
un nulla finito in balia di un nulla infinito
Per parafrasare un celebre motto dello showbusiness, dunque: “Humanity must go on”. Ma è tutto qui. Non c’è altro. L’umanità non è altro che un nulla finito, in balia di un nulla infinito: quell’insieme di 2mila miliardi (secondo le stime più recenti) di galassie, che chiamiamo “Universo osservabile”.
La Terra? Meno di un pallido puntino azzurro
Supponendo che la superficie dell’Universo osservabile sia misurabile e che questa misura possa essere rappresentata dal numero 100, la superficie della Terra sarebbe pari a 0,000000000000000000000000000000000000021. (Gli zeri dopo la virgola sono 37). Infinitamente più piccola di quel “pallido puntino azzurro” di cui parlava Carl Sagan, commentando come la Terra appariva nella foto scattata dai margini del Sistema Solare (circa 6 miliardi di chilometri da qui) dalla sonda Voyager 1, il 14 febbraio 1990.
La vita dell’uomo? Un nano-lampo, in una notte senza fine
Se la superficie della Terra corrisponde a uno zero virgola 37 zeri di quella dell’Universo, rispetto ai 13,8 miliardi di anni di vita dell’Universo, la vita media di un essere umano (73 anni, secondo l’ONU) è circa un 5 miliardesimo del tempo cosmico. Praticamente un nano-lampo, in una notte senza fine. Come dicevo: un nulla finito, in balia di un nulla infinito.
L’Universo non sa nemmeno che esistiamo
Non solo: l’Universo – osservabile e no – non sa nemmeno che esistiamo. Aveva ragione il Leopardi delle Operette Morali: «Se io vi diletto o vi benefico – dice la Natura all’Islandese – io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose o non fo quelle tali azioni per dilettarvi o giovarvi». E, ancora: «Se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei».
Una lacrima di zebra
Verità che riecheggia in “Questions for the Angels” (“Domande per gli angeli”) di Paul Simon: «Se ogni essere umano sul pianeta e tutti gli edifici dovessero svanire, una zebra che pascola nella savana africana se ne preoccuperebbe al punto di versare una sola lacrima di zebra?».
La risposta, ahimè, è no. Se l’intero genere umano scomparisse dalla faccia della Terra, non verrebbe versata nemmeno una lacrima di zebra. Né di nessun altro essere vivente.
Nessuno, a parte noi, se ne accorgerebbe. Nessuno, a parte noi, ne soffrirebbe. Come scrive Don De Lillo: «Siamo la forma più elevata di vita sulla terra, eppure ineffabilmente tristi, perché sappiamo ciò che nessun altro animale sa, ovvero che dobbiamo morire».
Impotenti nel nascere, nel vivere, nel morire
Solo noi, dunque, sappiamo che esistiamo. Questa è la triste verità. Ma ci sono tre verità ancora più tristi. La prima è che siamo totalmente impotenti. Impotenti nel venire al mondo. Impotenti nel lasciarlo. E, nel 99,9% dei casi, impotenti persino nell’abitarlo.
Impotenti che si credono potenti
La seconda è che siamo folli. Pur essendo impotenti, infatti, ci crediamo potenti. Per nascondere ai nostri occhi il fatto che la nostra volontà di potenza non è altro che un’illusione, siamo costretti a rendere ancora più impotenti gli altri. È per questo che, da che mondo è mondo, ogni scusa – Dio, potere, oro, patria, razza, civiltà… – è buona per sbranarci a vicenda, convinti (altra illusione!) che “bere il sangue del nemico” ci renderà invincibili. La verità è che impotenti siamo e impotenti rimaniamo. E nessuno di noi, «per quanto si preoccupi, può allungare, anche di poco, la propria vita» (Matteo, 6,27).
Rafting spericolato, insensato, inutile, letale

C’è un fine, dunque, ma non un senso. La differenza è enorme. E la terza verità – forse la più triste di tutte – è che non ci importa nulla di trovarlo né di provare a vedere se ci riesce di dargliene uno noi.
La nostra non è vita: è rafting. Un rafting spericolato, insensato, inutile e letale. Ci tuffiamo tra le rapide, aggrappati a uno straccio di materassino, con l’unico scopo di arrivare vivi alla foce del fiume. Vivi, cioè, all’appuntamento con la morte.
Non solo: precipitiamo giù così velocemente, che non facciamo nemmeno in tempo a capire cosa succede. Non sappiamo chi siamo, che ci facciamo su quello straccio di materassino, perché lottiamo per non schiantarci su qualche roccia o affogare tra le rapide, dove diavolo stiamo andando e perché.
L’unica vera differenza tra chi arriva in fondo e chi non ce la fa è che chi non ce la fa muore prima. Ignari gli uni, ignari gli altri. Dite la verità: non sembra folle anche a voi?
Perché ci buttiamo a capofitto tra le rapide? Chi ce lo ha ordinato? Dio? La patria? La famiglia? La nostra avidità? Il medico?
“È la vita”? Balle
“È la vita!”, dicono. Balle. Mai sentita stronzata più grande. Dove l’hanno letta? E quando sarebbe stato redatto questo fantomatico “Codice Vitale”, che contiene tutte norme da osservare per vivere la vita come “dev’essere davvero vissuta”?
E chi l’ha scritto? Di certo non il Dio delle tre religioni del Libro! Non mi risulta, infatti, che la Bibbia prescriva a che età uomini e donne debbano cominciare a lavorare, per quante ore al giorno, con quale paga, a quanti giorni di ferie abbiano diritto, quanti di malattia, quanti di licenza matrimoniale, quanti per una gravidanza, quanti per l’assistenza a famigliari/genitori malati, quanto valgano lavoro notturno e festivo, festività non godute e soppresse, se ci si debba sposare (e a quale età) o no, quanti figli si debbano/possano avere, a che età si possa andare in pensione, se si abbia diritto al servizio sanitario, all’assicurazione sul lavoro, all’istruzione, alla formazione professionale permanente e bla, bla, bla, bla…
Dio non c’entra: è colpa nostra
E, ammesso e non concesso, che l’ispiratore di questo fantomatico e famigerato Codice sia stato davvero Dio, direi che, più che qualche ritocchino qua e là, quel Codice l’abbiamo stravolto completamente. Lui ci aveva lasciato solo 10 comandamenti, i nostri codici, invece, contano milioni di articoli per centinaia di migliaia di norme: numero che aumenta ogni giorno di più. E, dato che ci siamo sempre ben guardati da rispettare il suo decalogo, per non mancargli di rispetto due volte, ci guardiamo bene dal rispettare anche le nostre leggi.
Morale: nessuno ci ha imposto di fare questa vita. L’abbiamo voluta così noi. Se c’è qualcuno da incolpare per questo disastro, dunque, non è lui: siamo noi. Del resto, cos’altro avrebbe potuto partorire una mente folle come la nostra, se non questa folle follia?