La vita non esiste in natura. Ce la siamo inventata noi. A guardarsi intorno, non c’è granché di cui andare fieri. Di certo, non la migliore delle nostre invenzioni. Tra le peggiori, anzi. Se non la peggiore. 

Né potrebbe essere altrimenti. Essendo una nostra creazione, infatti, è impossibile che non ci assomigli. E, dato che, dentro di noi, prevale il male, è inevitabile che prevalga anche nelle cose che facciamo. E la vita, purtroppo, non fa eccezione. 

Comandamenti rivelatori

Chi nega che, nella natura umana, prevalga il male, non conosce (o finge di non conoscere) sé stesso e nega la realtà

Se la nostra natura, infatti, fosse orientata al bene, che bisogno ci sarebbe di così tanti comandamenti/divieto? Sette su dieci, tanto nel Vecchio quanto nel Nuovo Testamento. Ricordo solo i più “terreni”: non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza, non commettere adulterio/atti impuri, non desiderare la donna e le cose degli altri d’altri. 

Chiunque li abbia scritti, ci conosceva molto bene. Più di noi stessi. E sapeva che, se fossimo stati lasciati liberi di assecondare la nostra vera natura e soddisfare istinti, bisogni, desideri, la vita sulla Terra sarebbe diventata un vero e proprio inferno. E, malgrado poche regole, che più chiare di così non potrebbero essere, è davvero un inferno quello nel quale viviamo.

Amare è contro natura

A essere onesti, c’è stato un uomo che ha provato a rovesciare la prospettiva. Si chiamava Gesù Cristo e, forse proprio per questo, ha fatto la fine che ha fatto. Cosa sosteneva? Che il comandamento più importante di tutti fosse il comandamento dell’amore: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Dopotutto, se uno ama davvero, non uccide, non ruba, non dice falsa testimonianza, non commette adulterio/atti impuri, non desidera la donna e le cose degli altri d’altri. Un unico comandamento “positivo”, che rendeva “inutili” i sette “negativi”.

Più facile obbedire a un’unica legge che a sette leggi diverse? Niente affatto. Immensamente più difficile, a quanto pare. Ulteriore prova del fatto che la natura umana è fatta per odiare e non per amare. Ci piaccia o no, l’homo homini lupus è la regola: l’amore non è che un’eccezione. Sempre più rara, tra l’altro. Del resto, se amare fosse naturale, che senso avrebbe comandarci di farlo?

Tra bene e male, scegliamo il male

E, così, l’umanità se n’è allegramente sbattuta, sia dei sette comandamenti della “tradizione” ebraica, sia dell’unico comandamento della “rivoluzione” cristiana. (Del resto, come si fa a dar retta a un pazzo che predica: “amate i vostri nemici?”). E, da migliaia e migliaia di anni, tra “bene” e “male”, continua a scegliere il male.

Il serpente mi ha ingannata

La domanda è: stando così le cose, ha senso nascondersi dietro a luoghi comuni del tipo: “così è la vita”? Neanche un po’. 

Il punto è che la vita non è affatto così. Siamo noi che l’abbiamo voluta così e che continuiamo a volerla così. E visto che, oltre che ipocriti, siamo anche pavidi, ci guardiamo bene dall’assumerci le nostre responsabilità e le attribuiamo alla “vita”, come se fosse un’entità mitologica, preesistente alla nostra apparizione sulla Terra. E così, dalla notte dei tempi, non facciamo che praticare il più antico e ignobile degli scaricabarile: il biblico “Il serpente mi ha ingannata”. 

La colpa è sempre dell’altro

E, come per magia, la colpa passa da noi a qualcun altro: mamma e papà (giurassici e “cringe”: non mi capiscono), mio fratello Caino (troppo cattivo), mio fratello Abele (troppo buono), la maestra (troppo severa), i professori (ce l’hanno con me!, chi c***o si credono di essere?), compagni di scuola, amici, colleghi di lavoro (stupidi, stronzi, invidiosi), le donne (tutte mignotte), gli uomini (tutti puttanieri), mia moglie (zoccola), mio marito (stronzo), il capo (bastardo)… e, naturalmente: i Russi, gli Americani, l’Europa, il Mercato, il Palazzo; dollaro, euro, bitcoin, BCE, FMI; negri, ebrei, musulmani, comunisti; froci, lesbiche, trans, queer & Co; stranieri, immigrati, zingari; poveri, disabili, malati, vecchi… 

In una parola, l’altro. L’odiato nemico; l’essere demoniaco che è causa di tutti i nostri mali e che non vediamo l’ora di eliminare. Essere demoniaco, con il nostro “stesso identico umore ma la divisa di un altro colore”, per dirla con De Andrè, il quale ricambia il nostro odio e non vede l’ora di eliminare noi. Come diceva l’uomo sulla croce? “Amate i vostri nemici”?

Ne resterà soltanto uno

Ma se il problema fosse davvero l’altro, come mai – dopo che lo abbiamo cancellato dalla faccia della Terra, migliaia e migliaia di volte, in migliaia e migliaia di guerre, che sono costate centinaia e centinaia di milioni di morti – i nostri problemi sono ancora tutti qui?

Quando scompariranno? Quando “ne resterà soltanto uno”, come diceva Highlander? Ne siamo davvero sicuri? E cosa succederà, a quel punto? Sicuri che l’ultimo dei mortali riuscirà a sopravvivere alla fine dei conflitti (“E quando fu di fronte al mare, si sentì un coglione perché, più in là, non si poteva conquistare niente”, canterebbe Vecchioni) o, non avendo più nessun nemico da combattere, finirà per diventare il nemico di sé stesso e auto-eliminarsi? 

Solo alla morte non c’è rimedio

Quando diciamo che solo alla morte non c’è rimedio, riconosciamo, implicitamente che, per tutto il resto, il rimedio c’è

Il che significa che c’è rimedio all’odio che ci spinge a un sempre più esasperato tutti-contro-tutti, alle mille guerre che devastano il pianeta, all’irrefrenabile, suicida, distruzione dell’ambiente, a un capitalismo sempre più selvaggio e alle distorsioni di un Mercato completamente fuori controllo, che divora tutto e tutti come un Leviatano, alla devastante (non)distribuzione della ricchezza (per la prima volta nella Storia, una ventina di persone possiede una ricchezza pari a quella di quasi 4 miliardi di persone: l’equivalente di metà della popolazione mondiale), al degrado morale e alla corruzione, che non risparmiano nessun ambito della nostra vita, privata o pubblica che sia.

Se il rimedio esiste, perché non lo adottiamo?

A questo punto, la domanda è: se, per tutte queste cose, il rimedio esiste, perché non lo adottiamo? Come mai l’odio non fa che crescere e le guerre si moltiplicano, con il rischio di trascinare l’umanità verso l’Armageddon? E come mai capitalismo, consumismo, inquinamento, deforestazione, sfruttamento sconsiderato delle risorse, cambiamento climatico, concentrazione delle ricchezze, povertà estrema, razzismo, xenofobia, patriarcato, sessismo, omo-lesbo-bi-transfobia, degrado morale e corruzione appaiono, ormai, incontrollabili e inarrestabili?

Il serpente siamo noi

La risposta c’è, è semplice, la conosciamo da sempre ma non la vogliamo sentire: il serpente siamo noi. E, fino a quando non riusciremo a estirpare il male da noi, sarà impossibile riuscire a estirparlo dalla realtà. E la vita sarà sempre la stessa: una barca alla deriva, in balia del peggio di noi.

Speranza: o forza di cambiamento o inutile utopia

Speranza è una tra le parole più mal interpretate, abusate e strumentalizzate di sempre. Qualunque cosa sia – virtù, sentimento, atteggiamento mentale, forza interiore – credo che abbia un senso e un valore solo se la consideriamo una miscela di fiducia e volontà. Fiducia nella possibilità di cambiare davvero noi stessi e le cose; volontà di impegnarci per concorrere a realizzare tale cambiamento. In questo senso, ha ragione Camus a dire che, quando non c’è speranza, ci si deve inventare la speranza. 

La speranza, quindi, ha senso e valore solo qui e adesso. In questa vita, intendo. Non nella prossima, sempre ammesso che esista. Questo, per due ragioni. La prima è che questa è l’unica vita certa che ci è dato di vivere. La seconda è che, ammesso che esista una vita-dopo-la-vita, essendo essa creazione di Dio (che è amore) e non dell’uomo, per affrontarla, non avremo alcun bisogno della speranza.

Palliativo o placebo: strumento del male

Se la speranza non è miscela di fiducia e volontà, non serve. O è un palliativo – allevia i sintomi ma non cura la malattia – o un placebo: non cura ma illude sul fatto che ci stiamo curando. In entrambi i casi, più che inutile è dannosa, perché ci induce a non lottare per il cambiamento ma ad attendere la vita nell’aldilà per ottenere, finalmente, tutto ciò che, nell’aldiqua, consideriamo impossibile ottenere: giustizia, pace, libertà, diritti e una vita davvero degna di essere chiamata vita. 

Se ci arrendiamo e rinunciamo a lottare, il danno sarà doppio, catastrofico e irreparabile. Né le persone né le cose cambieranno mai, e la speranza, da strumento del Bene, diventerà strumento del Male. Tranquilli, però: non sarà stata colpa nostra. È il serpente che ci ha tentati.