Avanti tutta!

In questo numero, in questo ultimo numero, di Condivisione Democratica parliamo di “Luoghi abbandonati” e di “Luoghi dell’abbandono”.
Poco prima della pubblicazione, rileggendo gli articoli che avevo scritto mi sono accorto che in tutti c’era un filo – a volte molto più di un filo o di un velo, un vero e proprio diluvio! – di nostalgia. Un pò quel senso di nostalgia dei tempi che furono, dei bei tempi andati, che poi può sfociare nel “si stava meglio, quando si stava peggio”.

Questa sensazione, anzi questo sentimento, la nostalgia è sempre stato con l’uomo: Ulisse che navigava nei mari tra mille peripezie in un viaggio lungo 10 anni, aveva nostalgia della sua Itaca.
“nóstos” e “álgios”, il “dolore per il viaggio”, “il desiderio, quasi doloroso, di ritornare”. Conosciuta dall’antichità, quindi, ma definita in tempi – tutto sommato – recenti. Era alla corte del Re Sole il medico che coniò il termine scrivendo il suo “Dissertatio medica de nostalgia” per raccontare il senso di depressione dei mercenari svizzeri che non tornavano nelle valli da tanto tempo.
Un pò la storia di Heidi e della sua malinconia per le Montagne e del Nonno, la storia dei giocatori di calcio brasiliani che hanno la Saudade mentre giocano in Europa, e se vogliamo il sentimento che animava Cicerone mentre scriveva rimpianti strazianti per la Roma di Catone, così come Tacito per quella di Cicerone.
E’ un sentimento, la Nostalgia, che nasce da una inquietudine per il presente, che ci fa sentire, insieme al rimpianto malinconico per il passato, la gioia per quel passato che invece è sfuggito, come se in quel passato le cose fossero più giuste, più belle, quasi perfette. Come un Paradiso Perduto, come un’età dell’oro ormai lontana.
Tra l’altro Eric Hobsbawm dà un significato, un ruolo, a questo sentimento per spiegare il processo di consolidamento della cultura (e del potere) nel suo “Invenzione della Tradizione”, perché è un “ingranaggio” di un meccanismo ben definito, ben avviato, ben oliato.
Ma la Storia non è scritta solo guardando indietro, anzi. Gli storici scrivono cercando i segni nel passato, mentre “chi fa la Storia” per lo più guarda in avanti, poi cercando riferimenti a ritroso, prova a consolidarla. Penso a coloro hanno segnato la storia moderna, come Napoleone Bonaparte o Otto Von Bismarck tanto per fare due nomi, che hanno sempre guardato al presente “spingendo” la Storia a prendere la direzione che volevano, come questa fosse un nuovo letto per un fiume. Concetti come la “Tradizione” o la “Consuetudine”, così come la “Nostalgia” erano utilizzati per ammantare il proprio operato senza strappi, mentre ce n’erano e tanti. Forse il campione in questo è stato Augusto che della “Tradizione” fu fermo sostenitore e paladino, sconvolgendola, di fatto, completamente.
Quando penso alla Nostalgia mi viene sempre in mente un personaggio in particolare. Non un personaggio così famoso, così conosciuto, ma nella sua storia c’è quella apertura al mondo, al futuro che è proprio l’opposto della Nostalgia. Penso a Luis de Torres.
Era imbarcato sulla Santa Maria con Cristoforo Colombo, che lo volle con sè come interprete.
Colombo, lo sappiamo, aveva convinto (ma forse non fino in fondo) i regnanti di Castiglia a finanziare una spedizione che potesse affrontare l’Oceano Atlantico per raggiungere l’Asia, le Indie, il Catai e il Cipango. Da uomo del medioevo, qual era, riteneva di poter raggiungere i territori del “Khaghan”, descritti da Marco Polo 200 anni prima. Il Catai dovrebbe essere la Cina sud-orientale, mentre il Cipango, quello che è l’attuale Giappone. Di sicuro – come sostenevano i suoi detrattori – aveva sbagliato le misure (Colombo stimava 4.400Km, mentre nella realtà sono oltre 20.000 i km che dividono la Spagna dal Giappone) e per puro caso trovò un Continuente completamente sconosciuto nel mezzo.
Ma Luis de Torres in questa avventura era l’interprete.
L’interprete in una terra che nessuno conosceva, se non attraverso quel racconto quasi “cavalleresco” che è Il Milione, con popoli che nessuno conosceva, e che praticavano usanze sconosciute.
Alla nascita (probabilmente) si chiamava Yosef ben HaLevi HaIvri ed era un ebreo convertito al cattolicesimo, conosceva Ebraico, Aramaico, Arabo e Portoghese, oltre ovviamente allo Spagnolo. Non era solo la conoscenza dell’Aramaico a far ritenere a Colombo che fosse la persona giusta per questo compito. Il Genovese pensava ci potessero essere, in quei territori lontanissimi, le 10 tribù semite disperse e l’Aramaico antico poteva sicuramente far comodo. No, quello che fece di Luis de Torres un interprete per un mondo sconosciuto era il suo sguardo nel futuro. E a ragione: è stato capace di comunicare con gli indios senza conoscere assolutamente nulla di loro. Fu il primo uomo a fare una “ambasciata” presso quei regnanti: al primo contatto tornò dopo 4 giorni trascorsi nel villaggio dove scoprì ad esempio l’uso del tabacco.
Questo spirito di avventura, l’idea non solo di trovare nuove terre da conquistare – come avrebbe potuto avere qualsiasi marinaio e mozzo sulle tre caravelle – ma di trovare un modo per comunicare, per entrare in contatto con nuove realtà, di proiettarsi nel futuro, questo mi sembra l’opposto della Nostalgia che si può provare a guardare il passato e i luoghi abbandonati.
L’idea che davanti a noi ci siano nuove possibilità e nuove realtà, ci siano nuove forme e nuove esigenze, nuovi continenti con i quali venire in contatto, in un modo ancora incognito.

(L’approdo di Colombo. Cristoforo Colombo e altri mentre mostrano oggetti ad uomini e donne native americane sulla spiaggia. Wikiquote.)