Archive for 2012

Home / 2012

Libertà e Giustizia non è un partito politico, ma un’associazione di cultura politica, ispirata ai due principi indicati nella sua stessa denominazione. Il suo metodo è la ragione applicata ai fatti. Allontaniamoci, allora, un poco dai particolari della cronaca politica quotidiana e cerchiamo di intravedere l’insieme dei fatti per ricavarne linee di pensiero e d’azione. Sempre che non sia un esercizio inutile.

IDEE-FATTI

Nella vita politica, le idee, le percezioni, le illusioni e le indignazioni che contano non sono necessariamente quelle veritiere. Sono quelle che permeano le coscienze, fanno senso comune e muovono i comportamenti dei grandi numeri, vere o false che siano. In ogni caso, sono semplificazioni e, proprio per questo, sono efficaci. Poiché sono efficaci, esse sono, per l’appunto, “fatti”, non effimere impressioni che passano da sé.

a. La prima idea-fatto – inutile dirlo – si esprime con la parola “casta”: giri intrecciati di potere politico, burocratico, economico e finanziario che si auto-alimentano per nepotismo e cooptazione, in base a patti di protezione e fedeltà; potere per il potere, inamovibile, spesso occulto e illegale; disuguaglianze crescenti tra chi sta dentro e chi fuori, chi sopra e chi sotto; privilegi e stili di vita incomparabili; ricchezza crescente per pochi e povertà dilagante tra i molti. Una grande divisione sociale, per la quale, un tempo, fu coniata l’espressione “razza padrona”.

La lotta di classe pare diventare, o già essere diventata lotta di casta, e a parti invertite: non degli sfruttati contro gli sfruttatori, ma degli sfruttatori contro gli sfruttati. Forse, ancora non si percepisce la dimensione globale di questa immensa ingiustizia, rispetto alla quale gli abusi, le corruttele, i furti di casa nostra, per quanto insopportabili, sono quisquilie. Quando si percepirà, cioè si farà strada l’idea, la reazione sarà la restaurazione delle piccole patrie, delle piccole comunità, come rifugi al tempo stesso protettivi e aggressivi: una vecchia storia.

b. La seconda idea-fatto è l’identificazione del potere che s’è detto con le Istituzioni. La politica moderna si basa sulla distinzione tra le istituzioni e coloro che le impersonano e le servono. L’idea odierna è il rovesciamento: coloro che stanno nelle istituzioni se ne servono. In tal modo, ogni degenerazione dei primi viene percepita come vizio delle seconde. Una volta, la corruzione di uno, era vista come corruzione di quello, poi del suo partito, poi dei partiti tutti quanti, poi della politica come tale, infine delle istituzioni tutte quante. I corrotti, gli insipienti, i dilettanti, gli arroganti, ecc. che operano nelle istituzioni non sono solo cattivi soggetti per se stessi, ma lo sono anche di più per le istituzioni democratiche. Nessuna azione antidemocratica è più efficace della corruzione e della propaganda che si basa su di essa. Anche questa è una vecchia storia.

c. La terza idea-fatto è che tutto s’equivale e che “sono tutti uguali”. Di conseguenza, non c’è nulla di possibile e nessuno di cui ci si possa fidare. Tanto vale, allora, starsene a guardare, sperando nella palingenesi, cioè nel crollo della politica e delle sue istituzioni e nell’apparizione di qualcuno che faccia piazza pulita. Che questa prospettiva esista e possa diventare persino maggioritaria è il crimine maggiore che dobbiamo imputare alla generazione che è la nostra. Di nuovo, ci appaiono i fantasmi d’una vecchia storia che si deve sapere dove porta.

LE RISPOSTE VUOTE

Queste generalizzazioni sono sbagliate. Sono anzi trappole pericolose. Ma sono fatti.

Come le vediamo contrastare? Con vuote banalità e con azioni controproducenti.

La prima banalità è l’accusa di antipolitica, che evita di fare i conti con le ragioni che allontanano dalla politica e si presta, contro chi la pronuncia, a essere ritorta con la stessa, se non con maggiore forza. Chi è, infatti, il vero antipolitico? La domanda è a risposta aperta. Non serve a nulla l’anatema. Serve solo la buona politica.

Non bastano le parole, quelle parole che si possono pronunciare a basso costo; parole banali anch’esse, che non vogliono dire nulla perché non si potrebbe che essere d’accordo.

Nella politica, che è il luogo delle scelte e delle responsabilità, dovrebbe valere la regola: tutte le parole che dicono ciò che non può che essere così, sono vietate.

Non vogliono dire nulla riforme, moralità, rinnovamento, innovazione, merito, coesione, condivisione, giovani, generazioni future, ecc.: vuota retorica del nostro tempo che tanto più si gonfia di “valori”, tanto più è povera di contenuti.

Chi mai direbbe d’essere contro queste belle cose?

COME USCIRNE
1) ATTI DI CONTRIZIONE E SEGNI DI DISCONTINUITA’

Alle vuote parole che non costano niente, corrispondono azioni e omissioni nefaste, anzi suicide. Si scoprono ora (!) ruberie, inimmaginabili nel mondo normale, e s’invoca subito una legge sui partiti e sul controllo dei flussi di denaro che arrivano loro: una legge che non si farà.

Si scopre ora (!) che la corruzione dilaga e si fa una legge-manifesto che, anche a dire di quelli che, all’inizio, l’hanno appoggiata, servirà poco o nulla.

Ci si accorge ora (!) che gli organi elettivi sono pieni di gente impresentabile e si prepara una legge sulle candidature. Leggi, sempre leggi, destinate a non farsi o, se fatte, a essere svuotate.

Ma nessuno obbliga a rubare, a corrompere e farsi corrompere, promuovere candidati senza qualità o con ben note “qualità”.

I cattivi costumi si combattono con buoni costumi. Le leggi servono a colpire le devianze, ma nulla possono quando la devianza s’è fatta normalità. Prima di cambiare le leggi, occorre cambiare se stessi e, per cambiare se stessi, non occorre alcuna legge.

Per chiedere rinnovata fiducia, occorrono ATTI DI CONTRIZIONE, segni concreti di discontinuità, non “segnali”, come si dice per dissimulare l’inganno.

Non è un segno, ma un segnale, per di più autolesionistico, la legge elettorale che è in gestazione. Mai più al voto con la legge attuale, s’era detto. Impedito il referendum da un’improvvida sentenza della Corte costituzionale, il problema della riforma è passato al Parlamento, cioè a chi ha da sperare vantaggi o temere svantaggi. Ci voleva poco a capire che, in prossimità delle elezioni, sondaggi alla mano, tutto sarebbe dipeso da calcoli interessati e poco o nulla da buone ragioni di giustizia elettorale. Non c’è bisogno di apprenderlo dal “Codice di buona condotta in materia elettorale” (§§ 65 e 66), che contiene il “minimo etico” segnalato agli Stati dal Consiglio d’Europa nel 2002. Lo comprendiamo da soli.

Comprendiamo che la nuova legge elettorale, se ci sarà, dipenderà dagli interessi dei partiti, non degli elettori che vi troveranno ulteriori ragioni di distacco o di rabbia. La riforma, che avrebbe dovuto servire a riavvicinare eletti ed elettori, allargherà la distanza.

Si persevera, invece, tentando di ritagliarsi comunque un posto o un posticino che conti qualcosa, in una barca che rischia di andare a fondo con quelli che ci sono dentro. Si pensa che non ce ne si accorga? e che ciò non porti altra acqua a chi vuol affondarla? Che insipienza!

2) UNA STAGIONE COSTITUZIONALE PER VIVERE IN LIBERTA’ E GIUSTIZIA

Dove appoggiarsi per uscire dal pantano, per suscitare coraggio, energie, entusiasmo, in un momento di depressione politica come quello che viviamo?

Dove trovare l’ideale d’una società giusta, che meriti che si mettano da parte gli egoismi e i privilegi particolari, che ci renda possibile intravedere una società in cui noi, i nostri figli e i figli dei nostri figli, si possa vivere in libertà e in giustizia?

È sorprendente che non si pensi che questo ideale, questo punto d’appoggio c’è, ed è la COSTITUZIONE. Ed è sorprendente che si sia chiuso in una parentesi quel referendum del giugno 2006 in cui quasi sedici milioni di cittadini si sono espressi a sostegno dei suoi principi.

Altrettanto sorprendente è che non si dia significato – forse perché non se ne ha nemmeno sentore – all’entusiasmo che accoglie, tra i giovani soprattutto, ogni discorso sulla Costituzione, sul suo significato storico e sul valore politico e civile attuale. Non c’è qui una grande forza che attende d’essere interpellata per cambiare la società?
Non è paradossale che ci si volga indietro per guardare avanti.

Le difficoltà in cui ci troviamo non derivano dalla Costituzione, ma dall’ignoranza, dal maltrattamento, dall’abuso, talora dalla violazione che di essa si sono fatti. Eppure lì si trova almeno la traccia della risposta ai nostri maggiori problemi.

  • Il LAVORO come diritto a fondamento della vita sociale, e non la rendita finanziaria e speculativa;
  • i DIRITTI CIVILI e non le ipoteche confessionali e ideologiche sulle scelte ultime della vita;
  • l’UGUAGLIANZA di fronte alla legge e non i privilegi per proteggere i deboli e combattere le mafie d’ogni natura;
  • l’impegno a promuovere politiche di EQUITA’ SOCIALE E FISCALE e non l’autorizzazione a gravare sui più deboli per risolvere i problemi dei più forti;
  • la garanzia dei SERVIZI SOCIALI e non la volontà di ridurli o sopprimerli;
  • la SALUTE come diritto e non come privilegio;
  • l’ISTRUZIONE attraverso la scuola pubblica aperta a tutti e non i favoritismi alla scuola privata;
  • la CULTURA, i BENI CULTURALI, la NATURA come patrimonio a disposizione di tutti, sottratti agli interessi politici e alla speculazione privata;
  • la libera INFORMAZIONE, come diritto dei cittadini e diritto-dovere dei giornalisti; ancora:
  • la POLITICA come autonomo discorso sui fini e non come affare separato di professionisti o tecnici esecutivi;
  • la partecipazione all’EUROPA come via che porti alla pace e alla giustizia tra le nazioni, a più libertà e più democrazia, non più burocrazia e meno libertà.

In generale, nella Costituzione troviamo la politica, il bene pubblico che più, oggi, scarseggia.

Invece, ancora una volta, come da trent’anni e più a questa parte, si ripete la stanca litania della prossima stagione come “stagione costituente”. Costituente di che cosa? Volete dire, di grazia, che cosa volete costituire? E credete con questa formula di ottenere consensi, tra cui i nostri consensi? Non viene in mente a nessuno che il nostro Paese avrebbe bisogno, piuttosto, di una “STAGIONE COSTITUZIONALE” e che chi facesse sua questa parola d’ordine compirebbe un atto che metterebbe in moto fatti, a loro volta produttivi d’idee, anzi d’ideali?

 

(tra i sottoscrittori: Zagrebelsky, Bonsanti, Eco, Saviano, Ginsborg, Lerner, Abate, Dalla Chiesa, Natale, Landini, Barbacetto, Settis)

Gli ultimi scandali che stanno interessando il mondo politico italiano danno una immagine dell’Italia alquanto ferita, logorata, martoriata. Il popolo italiano è al limite della sopportazione.

Il sentimento dell’antipolitica è palpabile alla quasi totalità dei cittadini. Chi più chi meno non né può più di questa politica.

Da più parti si invoca – in verità fin dal 1992, anno di MANI PULITE – una pulizia morale, una ricostruzione degna dell’Italia devastata dalla corruzione e da un sistema politico ormai decrepito.

Dopo la fine ingloriosa della prima Repubblica, è fallita anche la seconda Repubblica.

Dobbiamo renderci conto che si è conclusa una fase storica della vita politica italiana.

L’Italia sta vivendo una crisi politica violentissima, una crisi che è determinata dalla mancanza di etica nella politica (rammento che Etica, dal greco Ethos, significa costume).

Recentemente  il Cardinale Angelo Bagnasco ha inviato un monito ai nostri politici: “La questione morale in politica”, ha detto il Cardinale, “come in tutti gli altri ambiti del vivere pubblico e privato è grave e urgente e non riguarda solo le persone ma anche le strutture e gli ordinamenti”. Chiudendo il suo intervento, il Cardinale Bagnasco, ha affermato: “Cambiare è possibile perché è la gente che lo chiede e perché è giusto”.

Da ciò si desume che il comportamento dell’uomo deve essere improntato all’insegna della morale.

Kant affermava che l’uomo realizza un comportamento “morale “ quando, ubbidendo alla propria ragione, conforma l’intenzione all’imperativo categorico e quindi controlla le proprie passioni e i propri desideri.

Pertanto, secondo quanto sopra evidenziato, il nostro modo di vivere la politica deve essere improntato al rispetto assoluto della morale.

Purtroppo questo esempio non ci viene dato da molti rappresentanti della nostra classe dirigente.

Giustamente a questo stato di cose fa sentire alta la sua voce anche la Chiesa. Sempre il Cardinale Bagnasco afferma che “la corruzione sottovalutata dalla classe politica, è rabbia per gli onesti”..

Il Presidente Napolitano afferma che “è l’Europa a chiederci un grosso impegno di lotta contro la corruzione, ed esorta le forze politiche affinché si acceleri l’approvazione in parlamento del relativo provvedimento”.

Dopo molti anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer ritorna prepotente la “questione morale” da lui fortemente sentita.

In una intervista di Eugenio Scalfari apparsa su Repubblica nel 1981, Enrico Berlinguer affermò:   “I partiti sono diventati macchine di potere e di clientela”;  “I partiti non fanno più politica”; “I partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia”.

Eugenio Scalfari durante l’intervista pose la seguente domanda: “Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché ?”. Enrico Berlinguer rispose:  “La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. […] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude”. La Repubblica 1981.

Gli italiani onesti non vogliono e non debbono soffocare in una palude, come quella che è sotto i nostri occhi.

Mai come oggi la “questione morale” sollevata da Enrico Berlinguer è tornata di estrema attualità.

Auspico che le forze politiche del centro sinistra, su input del Partito Democratico,  abbiano la forza, la volontà, la passione politica di riproporre il pensiero politico di Enrico Berlinguer e farlo così conoscere alle nuove generazioni.

Bisogna adoperarsi, tutti uniti, affinché si verifichi un riscatto morale della nostra società e rafforzare, così, l’etica della responsabilità nel nostro costume sociale.

Ciò che ci deve animare è il coraggio! Agire e pensare all’insegna di una forte dose di utopia.

Chi può  determinare il cambiamento della società italiana? Il Partito Democratico nasce con questo scopo.

Il Segretario Pier Luigi Bersani credo sia la persona più adatta al raggiungimento di un radicale cambiamento della società italiana. Saprà sicuramente comunicare con tutte le persone di buona volontà, saprà intercettare e fare proprie le loro emozioni e aspirazioni e, per il bene dell’Italia, saprà conquistare i loro cuori.

Tra i forti contrasti politici e sociali, occorre ottenere una vera giustizia sociale, che sia equa e solidale.

Sono sicuro che Pier Luigi Bersani intraprenderà un cammino di sincera dedizione, cercando di risolvere i tanti problemi che attanagliano la nostra cara Italia.

Invocando la canzone popolare di Fossati: “Alzati che si sta alzando la canzone popolare…”, all’alba di un nuovo giorno, la speranza di tutti noi sarà finalmente realizzata con l’innalzamento della bandiera del Partito Democratico.

Il “fiorito” e sconcertante agone politico che dilaga, da regione in regione, di giorno in giorno, ferisce la nostra anima e la nostra identità politica, che non rappresentano un solo percorso interiore, non si limitano alla storia di noi che raccontiamo a noi stessi. L’identità va scoperta da quello che si fa e da quello che trasmettiamo agli altri.

Sono i comportamenti, i fatti che produciamo e la nostra storia a simboleggiare la verità che siamo, ciò che si può desumere, dall’esterno, da quello che facciamo e da come operiamo, quotidianamente, sulla ribalta del mondo.

“Un paese ci vuole” diceva Cesare Pavese, un paese che non crei sconcerto e preoccupazione per la imperante monocultura , che non tolga dialogo e confronto, privandoci così di ogni capacità di futuro.

Per  rendere credibile la sua centralità, un partito, in quanto parte, non può e non deve ridursi a discrepanza di culture e comportamenti se vuole essere una risposta per la risalita di questo paese che ha smarrito la sua antropologia, oltreché la sua organizzazione.

Occorre promuovere progettualità, idee e speranze nuove, ma soprattutto, donne e uomini nuovi, a prescindere dall’età anagrafica.

Serve più cultura e non solo: occorre una nuova dimensione e non una “politica inadatta” quale quella rituale delle poltrone; occorre costruire realtà  vere in cui la gente, la società, possa riconoscersi.

Ma per far ciò è fondamentale e prioritario conoscere e sapere chi siamo e cosa vogliamo.

Si  avverte il bisogno di “buone  battaglie”,  non di posizioni ed arroccamenti, che non servono ad attraversare il futuro.

Il futuro si apprende dagli errori “quando non si persevera”; c’è bisogno di conoscenza.